Crisi Juventus, il coraggio di dire le cose come stanno
Contro il Venezia pareggio numero 10 in campionato, fischi dei tifosi e Vlahovic litiga con la curva. La classifica si allunga e Thiago Motta è alle prese con una squadra che non funziona
La cosa più sorprendente della crisi in cui è coinvolta la Juventus è che ormai quasi non sorprende più. Il pareggio del Venezia a Torino, numero 10 del campionato e quarto consecutivo, è parso quasi ineluttabile con il passare dei minuti. Partita piatta quella dei bianconeri, senza picchi se non nel finale giocato sui nervi, senza fluidità di manovra e pure senza equilibrio perché l’avversario – prima dello Stadium solo 2 punti presi in trasferta – non ha rubato nulla e ha semplicemente capitalizzato quanto costruito.
E’ una malattia subdola quella contro cui sta lottando Thiago Motta. Che è medico e anche responsabile di tutto, essendo lui ad aver costruito con Giuntoli la squadra e ad averne scritto lo spartito tattico ed emotivo. Non sta funzionando e il tempo per cambiare musica stringe visto che la parte alta della classifica viaggia a una velocità di crociera spedita e la distanza dalla zona Champions League si sta facendo importante. Parlare di scudetto, oggi, non è serio così come non è serio catalogare tutto come percorso di crescita. Gli investimenti della scorsa estate e quelli che Elkann ha promesso per gennaio e per il futuro imponevano altro, almeno nella possibilità di stare lì a lottare come accaduto l’anno scorso fino al mese di febbraio.
Cosa non funziona nella Juventus? Siccome manca continuità anche a distanza di pochi giorni verrebbe da rispondere che non funziona quasi nulla. Contro il Venezia è successa la stessa cosa che era accaduto post Lipsia (1-1 contro il Cagliari) e San Siro (2-2 con il Parma). L’effetto benefico del successo contro il Manchester City è stato vanificato in un attimo e l’uragano di fischi che ha accompagnato i giocatori negli spogliatoi evidenzia come la pazienza sia al limite. Il sospetto è che fin qui parte del credito concesso a Giuntoli e Thiago Motta nascesse dall’anti-allegrismo militante che ha intossicato gli ultimi due anni e che ora non basta più per coprire delusione e paura.
Gli infortuni spiegano qualcosa ma non tutto. Sarebbe più onesto dire che la svolta mottiana è stata raccontata male, venduta per qualcosa che non poteva essere e accompagnata da aspettative altissime ora tradite. Usando un paradosso, il girone d’andata della Juventus è un ottimo girone d’andata da… Bologna. Solo che a Torino è tutto diverso, il tempo per camminare non esiste, bisogna correre e, soprattutto, capire che vincere, perdere o pareggiare non è la stessa cosa. E’ probabile che il pericolo si potesse percepire già prima e magari anche segnalare con qualche critica, senza paura con questo di riabilitare il passato che tanto non piace a chi non vuole capire cosa è successo intorno alla Continassa negli ultimi 24 mesi.
Come in ogni malattia, la cosa fondamentale è arrivare in fretta alla corretta diagnosi per poi procedere alla prognosi. Nel caso di questa Juventus la sensazione è che parte del progetto sia stato pensato male in estate. Il che rende Motta solo corresponsabile di quanto sta accadendo. Il mercato sta rendendo troppo poco rispetto agli sforzi e alla carta bianca consegnata a chi lo ha pensato e realizzato: ci sono giocatori mai inseriti, altri che sono doppioni e alcuni che mancano a partire dal vice Vlahovic. A gennaio si potrà correggere qualcosa ma non tutto. I pezzi bisogna rimetterli insieme partendo da quello che si ha e nel tempo che è concesso. Che è sempre meno.