Perché il ritorno di Lukaku a San Siro non sarà un bello show
Contestazione pronta dopo il tradimento estivo, il rischio che si esageri e nessuno dei protagonisti che possa tirarsi fuori dal pasticcio che accende gli animi di Inter e Roma
Provando per qualche minuto a uscire dalla rete dei torti e delle ragioni, la domenica della resa dei conti tra i tifosi dell'Inter e Lukaku rischia di essere una pagina di cui il calcio italiano non potrà andare fiero. Sia chiaro: i tifosi hanno ragione a essersi risentiti per il modo in cui il belga se n'è andato in estate e il fischio contro un avversario è legittimo. E Lukaku da professionista ha esercitato un suo diritto scegliendo di non tornare a Milano ma di preferire Roma. Sulle modalità si potrà discutere all'infinito ed si è cominciato già nel cuore dell'estate, quando la love story finita tra Romelu e l'Inter è stata per settimane il piatto forte.
Messe le premesse, c'è una sensazione di esagerato che accompagna l'attesa infinita per la comparsa del reprobo al cospetto dell'ex pubblico. Esagerate parole e intenzioni degli ultras interisti, le migliaia di fischietti preparati ad hoc e gli insulti dispensati con deliranti comunicati amplificati dai social. Esagerato, forse, anche il risentimento del mondo Inter che nei fatti ha archiviato in fretta il 'tradimento', ma certamente non ha gradito e non perde occasione per ricordarlo.
Esagerato Lukaku nelle sue allusioni dispensate dal ritiro del Belgio. A cosa è servito gettare benzina sul fuoco, evocare chissà quale segreto, lasciar intendere (senza però avere il coraggio di dire) di essere stato vittima di colpa grave da parte degli altri. Un po' esagerate anche le prese di posizione del mondo Roma che ha tirato fuori vecchie storie di mercato, simili ma non sovrapponibili, per difendere il suo giocatore con il risultato di aver attaccato un club rivale ma nemmeno troppo lontano in mille strategie.
Tutto troppo, sperando che le due ore di San Siro non rivelino qualche altra sorpresa amara da mandare in giro per il mondo. Il riferimento è chiaro: se già uno stadio che fischia un unico avversario è sgradevole, guai a superare la sottile linea del rispetto delle sensibilità di tutti (non solo di Lukaku) in tema di razzismo e discriminazione per il colore della pelle. Verrebbe da dire "fate i buoni, se potete", consapevoli che il tormentone dell'estate ha rappresentato la tempesta perfetta e questa tempesta deve ancora sfogare la sua parte più selvaggia e passionale. Dunque, c'è solo da sperare che non si trascenda.
Per il futuro, invece, la lezione è sempre la stessa. Per i tifosi non innamorarsi dei calciatori visto che ormai sono aziende che ragionano sulla propria carriera fregandosene dei colori della maglia. E per dirigenti e giocatori praticare l'arte della chiarezza. Se Lukaku avesse salutato dopo Istanbul dicendo che preferiva andare, nessuno oggi lo aspetterebbe col fischietto spianato. La comunicazione è tanto se non tutto. Vale anche per i club, che spesso dimenticano di essere stati martello quando si trovano nella spiacevole posizione dell'incudine.