Champions League, quando il calcio è un altro sport
Il meraviglioso spettacolo offerto da Manchester City e Real Madrid, il confronto impari con il nostro campionato e una considerazione amara: per divertire servono grandi campioni e la mentalità giusta
L'unico difetto della sfida tra Manchester City e Real Madrid - gara d'andata delle semifinali di Champions League - è che a un certo punto è finita. E' stata un'ingiustizia perché ci ha costretto a tornare alle nostre bassezze, alle polemiche sui torti arbitrali e alla volata scudetto che avrebbe tutto per essere bellissima ma che abbiamo intossicato di veleni, rovinando tutto. Peccato che il signor Kovacs, arbitro romeno del tutto insensibile al fascino del meraviglioso, non abbia deciso di fare uno strappo alla regola e andare avanti, consentendo a inglesi e spagnoli di regalarci qualche altro ribaltone, un'emozione in più, un'ulteriore giocata con cui rifarsi gli occhi.
Ovviamente è un paradosso, perché Kovacs ha fatto quello che doveva ma nella notte dell'Etihad è parso bellissimo anche lui, con quella scelta di lasciar correre per qualche secondo malgrado un fallo netto al limite dell'area del Real Madrid, così che Bernardo Silva potesse confezionare uno dei sette capolavori della serata. Ogni riferimento allo sciagurato Serra e al suo fischio castrante in Milan-Spezia è, ovviamente, voluto ma non bisogna sorprendersi: Kovacs è un direttore di gara internazionale, livello top, Serra un ragazzo che sta cominciando la sua strada.
Due categoria diverse esattamente come Manchester City-Real Madrid e il resto del mondo. O quasi. Nel senso che altre partite memorabili le stiamo vedendo in questa seconda fase della stagione europea e tutte le volta viene un po' di magone pensando alla distanza siderale che dovrà coprire il nostro calcio per tornare ad essere competitivo in serate come questa. E' vero, non tutto è da buttare via perché Milan e Inter qualche applauso lo hanno strappato contro i mostri sacri, pur uscendo alla fine sconfitte. Però in generale siamo su un altro pianeta e prima ce ne rendiamo conto, più in fretta si comincerà la risalita.
Questione di mentalità. Pazzesco vedere due squadre sfidarsi a viso aperto sfruttando in pieno il nuovo regolamento, che ha abolito il valore doppio del gol in trasferta rendendo questi incontri delle sorti di finali secche. C'è chi ha immaginato che Ancelotti fosse folle a non tirare indietro i suoi dopo l'inizio choc di Guardiola e, invece, ha avuto ragione lui. E poco importa che ci siano anche stati errori difensivi, imperfezioni e suicidi come il rigore causato da Laporte che ha fissato il risultato sul 4-3, promessa di un'altra notte indimenticabile al Bernabeu. Alzi la mano chi rimpiange la collosità di certe partite tatticamente perfette ma emotivamente piatte.
L'altra considerazione è che per vedere un grande spettacolo servono grandi interpreti. La qualità è tutto e lo è sempre stato, anche quando il calcio moderno lo disegnavamo noi in giro per l'Europa. Era il tempo in cui i nostri mecenati potevano permettersi di acquistare Palloni d'Oro da tenere in panchina, incuranti delle spese. Quel calcio non esiste più e ci vorranno anni (e scelte coraggiose) perché la Serie A possa tornare ad avvicinarsi alla forza economica delle big della Champions League. Chi sostiene che si possa ricreare lo stesso prodotto anche low cost mente. Non ci credete? Guardate la parabola di Lewis Hamilton, fuoriclasse leggendario della Formula Uno: se la sua Mercedes non va, lotta in mezzo al gruppo. Esattamente come sono condannati a fare tanti allenatori italiani che, forse, sul piano della mentalità sarebbero pronti al grande salto.
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