La nuova Italia di Mancini
Vince comandando il gioco, non si lamenta ed è più forte delle sfortune: non sembra quasi nemmeno una nazionale azzurra e ci sta regalando un Europeo da sogno
C'è qualcosa di unico nella corsa dell'Italia verso la finale dell'Europeo a Wembley. Non sono i record (32 partite senza sconfitte) e le vittorie consecutive. Non sono i gol e le parate di Donnarumma. E' il cambio di dna che sta accompagnando le notti azzurre nell'era della post pandemia e che ci regalano una nazionale di cui andare orgogliosi sempre. Comunque andrà a finire è stato un successo, anche se da qui in poi le cose dovessero andare male e il vento cambiare direzione. Non è l'elogio preventivo della sconfitta operosa, è la consapevolezza dell'enormità del lavoro fatto da Roberto Mancini e dalla Federazione e la freschezza, unita al talento, di un gruppo cresciuto in fretta, in maniera quasi tumultuosa.
Non siamo arrivati fin qui perché abbiamo incontrato sempre avversari scarsi, come i critici e rompipalle a prescindere insistono a dire. Il calcio di oggi è così livellato che la Svizzera, che ha sfiorato l'impresa anche contro la Spagna, non vale molto meno del Belgio numero uno del ranking. Non in un torneo di un mese in cui conta condizione fisica e psicologica. La Svizzera l'abbiamo travolta come Turchia e Galles e la notizia per i rompipalle di cui sopra è che anche al tanto celebrato Belgio abbiamo riservato trattamento analogo.
E' un'Italia diversa, quella che ci ha regalato Mancini. Non più votata al controllo difensivo delle partite, ma educata a guardare avanti. A pressare alto, a prendersi rischi, a giocare con il pallone, a soffocare il nemico con il proprio fraseggio senza scivolare nel noioso tiki taka in cui si è evoluto molto football nell'imitazione sterile del Barcellona di Guardiola. Siamo una cosa diversa e siamo qualcosa di bello da vedere e di letale per gli altri. Ora ci tocca la Spagna e sarà durissima, per non parlare poi dell'eventuale finale che di potrebbe portare a sfida l'Inghilterra in un Wembley tutto suo come nemmeno le edizioni ospitate da una singola nazione prevedono. Un'anomalia di cui chiedere conto alla Uefa e al modo in cui sta piegando il torneo (itinerante) a vantaggio dei Lions. Ma c'è tempo per parlarne.
Oggi tocca celebrare una nazionale che sembra tutto tranne che italiana. Nemmeno nel glorioso Mondiale 2006 si è giocato così bene, dimostrando di possedere una tale identità marcata. Non è sinonimo di vittoria garantita, ma è un miracolo considerato le macerie da cui siamo partiti. Belli, freschi e giovani. Capaci di andare oltre le sfortune e anche le avversità perché per qualche minuto, ad esempio, l'arbitraggio incerto dello sloveno Vincic ha riportato alla mente certe sciagure del passato. Invece gli azzurri hanno tirato dritto rimettendosi sul pezzo e ricominciando da dove il rigore 'generoso' che aveva rimesso in partita il Belgio li aveva lasciati.
Ne è uscita una notte da impazzire che ci spedisce a Wembley. In ogni caso è nata una stella e il fatto che Mancini abbia già legato il suo futuro alla Figc ci fa pensare di essere solo all'inizio di un periodo bellissimo perché in giro per il mondo non ci sono fenomeni e questo gruppo ha margini di crescita enormi. Adesso, sognando la finale, e lanciando uno sguardo a quanto accadrà in Qatar tra 18 mesi.
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