Il Milan da un fallimento all'altro: Pioli non è l'unico colpevole
Dopo la Champions League anche la Coppa Italia. Con una corsa scudetto compromessa da tempo. La crisi dei rossoneri vede il tecnico sul banco degli imputati, ma l'analisi deve coinvolgere anche altre figure e scelte
Le polemiche sui fischi, emessi ed omessi, dell'arbitro Di Bello non possono distogliere l'attenzione su quanto accaduto al Milan nella notte dell'eliminazione dalla Coppa Italia per mano dell'Atalanta. Sconfitta meritata, sottolineata dai fischi di un San Siro che ha perso la pazienza in maniera ormai trasversale e che non sembra più disposto a concedere alibi o seconde e terze chance a nessuno. Fuori dalla Champions League e con la corsa scudetto compromessa, anche la tanto bistrattata Coppa Italia rappresentava un obiettivo interessante per dare un senso compiuto alla stagione senza limitarsi alla corsa al quarto posto e a quanto accadrà da febbraio con l'Europa League.
L'illusione di poter arrivare all'Olimpico nella finale di maggio è durata lo spazio di una notte. Appena l'asticella si è alzata rispetto al Cagliari delle riserve, ecco le solite incongruenze del Milan. Pioli è ormai abbonato fisso nella parte del colpevole di tutte le mancanze (ha commesso errori di scelta e tattica anche contro Gasperini), ma la riflessione deve essere più ampia e coinvolgere tutto il progetto sportivo nato il 5 giugno scorso con il licenziamento di Paolo Maldini e Frederick Massara.
La sintesi è che alla rosa mancano elementi di qualità e quantità. E' vero che la strage di infortuni (colposa e non frutto della cattiva sorte) ha condizionato tutto, ma quando una squadra di prima fascia affronta i momenti decisivi della stagione dovendo schierare ragazzi della Primavera in numero importante oppure calciatore adattati e fuori ruolo non tutto si può limitare alla conta dell'infermeria. Eppure in estate, grazie anche alla cessione di Tonali, i denari per investire non sono mancati e sono stati spesi in abbondanza: oltre 130 milioni di euro più quelli impegnati per sbloccare il rinnovo di Leao.
Il numero uno nell'organigramma societario, nonché responsabile del mercato, Giorgio Furlani ha rivendicato un certo attivismo nella sessione invernale che ha portato a Milanello il jolly Terracciano e il difensore di ritorno Gabbia. Utili per mettere una pezza all'emergenza, meno per dotare subito Pioli di giocatori da Milan. E, nel caso dell'ex veronese, interessanti in prospettiva ma che non rispondono alle urgenze immediate che il campo ha dettato lungo due mesi abbondanti di crisi e mancanza di risultati. Nell'ordine: un difensore centrale pronto subito e titolare fino al rientro degli infortunati, un vice Theo Hernandez a sinistra e, magari, un altro centravanti anche se Jovic invernale ha dato segni di vita.
Non si vede, dunque, una strategia se è vero che poche ore prima di Natale i dirigenti rossoneri erano ancora convinti di non dover correre ai ripari nemmeno nel settore difensivo visto che Simic (classe 2005) aveva fatto un paio di buone prestazioni. Nell'organigramma del Milan manca una figura dirigenziale che si faccia carico di essere l'architetto del progetto sportivo; uno come Giuntoli, per intendersi, con deleghe e competenze a tutto tondo. Per mesi si è inseguito Ibrahimovic che ora c'è anche se con un ruolo non del tutto definito e si vedrà quanto utile. Chi immaginava un potere taumaturgico dello svedese si deve correggere: da quando ha messo piede per la prima volta a Milanello da consulente di RedBird il Milan ha vinto 3 partite, pareggiato in maniera deludente a Salerno e visto volare via la Coppa Italia. Nessuno, nemmeno lui, ha la bacchetta magica.
Ultima annotazione: la crisi del Milan viene da molto più lontano che le ultime settimane o mesi. L'intero 2023 è stato costellato di tanti bassi e qualche alto, con un campionato fallito e salvato dalla penalizzazione della Juventus senza la quale i rossoneri sarebbero stati fuori dalla zona Champions League, con tutto quello che ne consegue in termini economici e di progetto. Un numero lo conferma in maniera indiscutibile: su 55 partite in tutte le competizioni, i rossoneri sono stati capaci di vincerne meno della metà (25) e perderne quasi un terzo (16). Un dato sconfortante che impone riflessioni a tutti i livelli.