Sarri, elogio dell'uomo solo (alla Juve)
Le parole del tecnico toscano dopo 332 giorni di silenzio, i retroscena sul rapporto con Ronaldo, l'addio a Torino e una stagione vincente ma da mettersi alle spalle
Maurizio Sarri era un uomo solo dentro la Juventus. O, almeno, si percepiva tale e non solo nell'ultima parte di una stagione maledetta perché spezzata dal Covid, ma anche prima. In autunno. Anche quando le cose sembravano volgere al meglio e qualche traccia del suo lavoro scorgersi in un gruppo abituato a vincere praticando percorsi diversi. Un Sarri che a ottobre, pochi giorni dopo il successo a San Siro contro l'Inter nella notte forse migliore come qualità della sua squadra, confessa di aver radunato il suo staff per una riunione capitale: "La mia domanda era: andiamo dritti per la nostra strada e andiamo a casa tra 20-30 giorni o proviamo a fare qualche compromesso, vincere il campionato e andare a casa lo stesso? Abbiamo scelto di provare a vincere lo scudetto".
La lunga intervista confessione rilasciata da Sarri a Sportitalia mette un punto sul suo passato. E' rimasto un anno zitto, un po' per questioni contrattuali essendo ancora legato alla Juventus, molto per farsi scivolare via l'amarezza di quella storia mai cominciata. Ora sappiamo che il toscano era un uomo solo con la sua idea di calcio dentro un ambiente in cui non riusciva a inserirsi. Sappiamo che la frase attribuitagli nel momento dell'addio ("Voi cacciate me, ma questa squadra non è allenabile") non è leggenda ma risponde al vero e che alla Continassa gli era chiesto di essere gestore prima ancora che allenatore.
Situazione impossibile per un uomo che confessa apertamente di non amare il primo ruolo (""Ho delle esigenze quando alleno, trovare una società che mi faccia fare l'allenatore da campo a 360 gradi. Se mi mettono a fare qualcosa di diverso mi intristisco e cado in frustrazione") e di preferire il secondo, al punto di dire di essere alla ricerca di una "esperienza gratificante" senza necessariamente che ci sia un riscontro immediato in classifica. I tifosi della Lazio stiano tranquilli: avranno un Sarri determinato a portare i biancocelesti il più in alto possibile, ma è il senso delle parole che colpisce.
Sappiamo anche che l'amore con Ronaldo, la stella della Juventus, non è mai nato. E che il portoghese è un compagno meraviglioso ma scomodo di viaggio, difficile da gestire: "Una multinazionale con interessi personali che devono abbinarsi con gli interessi della squadra... Quando un ragazzo ha 200 milioni di follower sui social e arriva a questi livelli è chiaro che rappresenta qualcosa che va oltre la società, oltre la normalità. È il prodotto della nostra società". Un fuoriclasse che dà tanto ma allo stesso tempo toglie molto del lavoro quotidiano di campo di un allenatore. Sappiamo anche che con i dirigenti c'erano discussione, che la spina staccata dalla squadra con qualche settimana d'anticipo, vinto lo scudetto, non era piaciuta a lui e lo ritiene un errore capitale in vista di quello che poi sarebbe stato l'ultimo atto nella notte dell'eliminazione dalla Champions League per mano del Lione.
Sappiamo anche che la foto di fine anno di quel gruppo - Sarri da una parte e il resto della rosa a festeggiare dall'altra - non era null'altro che la rappresentazione plastica del rapporto nato male e logoratosi poi. Insomma, abbiamo capito tante cose ascoltando le parole di Maurizio Sarri dopo 332 giorni di silenzi. Una sola domanda ci è rimasta, non destinata a lui: perché la Juventus lo ha scelto dopo aver approfondito la conoscenza e, si presume, condiviso i pensieri? Come poteva illudersi che funzionasse? Illudersi che bastasse un colpo di bacchetta per colmare una differenza e diffidenza parsa incolmabile fin dall'inizio. Perché?
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