Diritti tv, la Serie A non riesce a vendere
Ancora lontano il traguardo, i presidenti del calcio italiano continuano a trattare con DAZN, Sky e Mediaset. Obiettivo? Almeno 900 milioni di euro per non essere costretti a fare da soli - ASCOLTI IN CALO E MERCATO FERMO: L'ULTIMA BATTAGLIA DELLA SERIE A
Si va ai tempi supplementari, pericolosamente vicini ai calci di rigore. La data cerchiata di rosso sul calendario dei presidenti della Serie A è quella di mercoledì 2 agosto, la dead line entro la quale la grande partita per cercare di vendere i diritti del calcio italiano dal 2024 dovrà essere chiusa. Possibilmente con soddisfazione delle aspettative dei cedenti, cioè i club del massimo campionato che non possono permettersi di fallire l'obiettivo. Quale? Avvicinarsi almeno al miliardo di euro a stagione fino al 2027 o al 2029, se dovesse essere necessario ricorrere alla nuova possibilità che la legge concede di allungare sul quinquennio l'accordo, come previsto dal bando stesso faticosamente scritto nei mesi scorsi.
Nemmeno la prima fase della trattativa privata, iniziata dopo che alla scadenza dei termini erano state presentate offerte nettamente inferiori al minimo richiesto, ha ottenuto il risultato sperato. E' stata una maratona che ha impegnato duramente i dirigenti della Lega Serie A e quelli di DAZN, Sky e Mediaset - unici operatori rimasti in corsa -, ma che è servita soltanto da muoversi dai circa 700 milioni messi nelle buste senza, però, arrivare a toccare quota 900. L'ultima linea del Piave di un calcio che ha bisogno di soldi, anche pochi e maledetti, purché arrivino in fretta per programmare il futuro e in molti casi correre a cartolarizzare il credito per poter spendere per mercato e stipendi.
Non è una novità che si vada ai supplementari e ci si avvicini ai calci di rigore. Anzi. La vera novità sarebbe che si chiudesse tutto senza poi passare per tribunali come tradizione, ma questo è un discorso che porta troppo lontano. La verità è che le previsioni più fosche si stanno confermando: questa era descritta come l'asta più difficile di sempre e così si sta rivelando. Parole pronunciate nel corso dell'inverno dai vertici della Lega, consapevoli di un contesto di mercato tutt'altro che florido e impegnati a provare ad attirare nuovi investitori. L'obiettivo non è stato centrato. E' vero che la tanto desiderata Amazon, ad esempio, non si è palesata nemmeno in altri campionati europei con l'eccezione della Premier League che ormai fa corsa a parte, ma la doccia è stata comunque gelata.
Lo stallo crea preoccupazione, inutile nasconderlo. Nonostante alcuni segnali positivi dal campo, come le tre finali (seppure perse) nelle tre coppe europee e un ritrovato equilibrio competitivo che ha visto conquistare lo scudetto quattro squadre diverse negli ultimi quattro anni, la Serie A non attira a livello internazionale e non spinge a fare follie nemmeno in Italia. Anche DAZN si è accorta della difficoltà di far quadrare i conti spendendo centinaia di milioni di euro a stagione, dovendosi misurare con abbonati, il cui numero rimane singolarmente segretato, spesso scontenti della qualità tecnica del servizio e dei prezzi e delle condizioni sempre meno attraenti. L'ultima stagione, poi, è stata quella del caos Juventus con un netto calo di ascolti da gennaio in poi.
Dunque, il 2 agosto o meglio prima (14 luglio prossima convocazione dell'Assemblea), la speranza di tutti è di essere almeno riusciti a tornare ai 900 milioni e spicci del triennio che si chiuderà il 30 giugno 2024. Possibile ci si arrivi con lo stesso scenario attuale con in più Mediaset a proporre una gara in chiaro il sabato sera: non svenandosi, però, visto che la richiesta di partenza della Lega è stata ritenuta esagerata. Per provare a chiudere i presidenti hanno anche modificato alcuni passaggi del bando. Se falliscono, rimane in piedi l'ipotesi di produrre da soli il campionato per poi rivenderlo direttamente: il nucleo di partenza della struttura c'è - l'IBC di Lissone che ospita anche il Var - ma la sensazione è che rimanga un'opzione da ultima spiaggia. Significherebbe improvvisarsi editori di se stessi e assumersi il rischio imprenditoriale di un'impresa non a successo garantito, magari imbarcando un partner finanziario che garantisca un introito di partenza e poi distribuisca le partite.
Per anni è stata una minaccia senza fondamento, esibita alle tv per strappare un accordo. Oggi no, ma la situazione generale preoccupa mentre la politica finalmente si sta muovendo, a passi non rapidissimi per la verità, sulla strada di nuove norme per contrastare la pirateria che costa quasi un miliardi di euro all'anno al pallone. Troppo per pensare di sopravvivere.