La pantomima del pallone azzoppa 10 miliardi di Pil
Il balletto intorno al destino della Serie A dopo il caos Juve-Napoli, il dibattito vuoto della politica e un settore che torna a tremare - ORA LA SERIE A RISCHIA UN NUOVO STOP
"Meno calcio, più scuola", ovvero il trionfo della demagogia e della banalità. Il vuoto pneumatico che avvolge il dibattito sul destino del campionato e, a cascata, di tutto il calcio e lo sport italiani. Ripiombati improvvisamente alla scorsa primavera quando il rifugio della politica era l'impossibilità di pensare al calcio con i morti per strada e poi, a curva dei contagi messa sotto controllo, il desiderio punitivo verso un mondo di milionari viziati che chiedeva (scandalo!) di tornare a fare il proprio lavoro. Mettendo in sicurezza un'industria da 3,5 miliardi di euro di fatturato e quasi 10 indotto compreso. Posti di lavoro veri, non solo contratti da mile e una notte per pochi eletti.
Il caos di Juve-Napoli, la partita fantasma che non c'è stata e chissà se ci sarà mai, ha riportato indietro le lancette del tempo. Non solo il calcio italiano (e di conseguenza il resto dello sport, quando con calma i suoi vertici se ne accorgeranno) non ha più un protocollo ragionevole e certo su cui basare investimenti e attività. Non solo la situazione generale peggiorata rispetto a maggio renderà una salita a mani nude correggere o riscrivere le regole perché siano funzionali e non unicamente una lunga agonia prima dello stop. No. Il cortocircuito innescato dal Napoli ha riportato sulla ribalta protagonisti e vizi della politica del nostro Paese.
"Meno calcio, più scuola" non vuol dire nulla, ma è lo slogan scelto dal ministro della Salute e dai suoi collaboratori. Ripetuto quasi con compiacimento. E vale come le parole del ministro Spadafora, titolare del dicastero dello sport, che nell'arco di ventiquattro ore è riuscito nell'impresa di sostenere una tesi e quella contraria. Nulla di sorprendente, considerati i precedenti, eppure il destino del pallone e di tutto quello che ne consegue dovrà passare dal sentiero stretto di un confronto con chi un giorno dice una cosa e il giorno dopo un'altra.
"Protocollo ancora valido? Sì questo sicuramente" ha buttato lì con nonchalance il lunedì sera lo stesso uomo che la domenica pomeriggio - in pieno caos - il protocollo con le sue specificità funzionali all'attività del calcio professionistico lo aveva picconato evocando "la responsabilità delle Autorità sanitarie locali" e "la situazione generale divenuta più complessa". Un colpo al cerchio e uno alla botte, mentre nel mondo passava l'immagine di uno stadio vuoto, fermo ad attendere una partita che non ci sarebbe mai stata.
Per ricordarlo agli smemorati, il protocollo che, se applicato, quella partita l'avrebbe fatta disputare è stato scritto, limato e voluto dalla Federcalcio, dal Ministero della Salute, dal Ministero dello Sport e dal Comitato tecnico scientifico che ha avuto l'ultima parola su tutto, spesso opponendo dei 'no' alle richieste del mondo del pallone. Nelle ore del caos partenopeo tre dei quattro soggetti si sono sfilati facendo la parte di quelli che non ne sapevano nulla o quasi. Tre su quattro hanno sostenuto l'esatto contrario di quanto scritto nello stesso protocollo. Per cercare di restare seri (ma non è semplice) sfidiamo chi legge a indicare di chi si tratti.