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(Ansa)
Calcio

Serie A, profondo rosso: dal 2020 bruciati 2,5 miliardi di euro

Mentre le nostre squadre, faticosamente, stanno ritrovando competitività in Europa i conti piangono. Le big hanno chiuso gli ultimi cinque bilanci con passivi da paura e (spesso) scontentando i tifosi - JUVENTUS, MENO 199 MA IL PEGGIO E' ALLE SPALLE

Poveri e spesso perdenti. Oppure vincenti ma indebitati, in una spirale senza fine di passivi con qualche raro segnale in controtendenza nonostante le rassicurazioni sulla volontà di cambiare strada. Benvenuti nell’inferno dei conti della Serie A, dove le società che fanno da traino per il sistema in campo e fuori sono diventate delle macchine trita soldi. Dal 2020 al 2024, ultimi cinque bilanci disponibili (ne mancano un paio all’appello), le big del fatturato del calcio italiano hanno messo insieme passivi per oltre 2,5 miliardi di euro. Conti incompatibili in qualsiasi attività economica, non nel football dove l’assioma che resiste da sempre è che per vincere bisogna spendere e che spendere non è garanzia di vittoria. Anzi.

Juventus, Roma, Inter e Milan sono le protagoniste di questa situazione. Storie diverse, così come differente è il loro presente. Tutte accumunate, però, da un unico destino che è il rapporto conflittuale con le pagine dei conti economici e, quasi sempre, con gli umori delle rispettive tifoserie. C’è chi come il Milan di RedBird ha completato l’opera di risanamento, completando il percorso avviato da Elliott dopo i disastri della breve gestione cinese. Chi si è appena incamminato sulla strada della sostenibilità, chi annuncia di averlo fatto ma deve ancora misurarne gli effetti e chi non pare aver trovato la chiave giusta per risolvere il rebus.

Se si volesse fare una classifica dei passivi dal 2020 al 2024 la dominerebbe la Juventus con i suoi 861,5 milioni di euro che hanno costretto l’azionista Exor a una lunga e dissanguante serie di aumenti di capitale: 900 milioni e ora il portafoglio si è chiuso, come annunciato dal presidente Ferrero nell’ultima assemblea degli azionisti che ha licenziato un rosso da 199 letto quasi con sospiro di sollievo perché considerato figlio dell’annata di purgatorio fuori dalla Champions League. Il paradosso è che la Juventus virtuosa degli anni Dieci era stata capace di coniugare risultati economici – due utili consecutivi – e vittorie in campo mentre quella di adesso spende per perdere. L’ultimo scudetto risale al 2020, poi solo trofei considerati minori e una costante rincorsa a cercare di riparare errori strategici commessi con effetti a lungo termine. Certo, per la Juventus così come per tutte le altre, il Covid è stato uno tsunami impossibile da non considerare come attenuante. Dei 2,5 miliardi di euro di rosso, ben 1,4 è concentrato tra il 2020 e il 2022 quando le aziende calcistiche in Italia sono state abbandonate a se stesse: costi incomprimibili, ricavi azzerati, zero aiuti dallo Stato. La progressione negativa dei conti, però, non si può spiegare solo con l’emergenza pandemica.

Il calcio è una bolla che continua a scoppiare. L’Inter, ad esempio, è riuscita a vincere ma ha vissuto un lustro sulle montagne cinesi, con una proprietà sempre più forzatamente distante e indebitata tanto da arrivare a perdere il controllo del club nel maggio scorso perché impossibilitata a restituire un ricco finanziamento al fondo californiano Oaktree. Il quale ora controlla la società, chiede di accelerare nell’operazione di messa in equilibrio dei conti e deve misurarsi con un livello di indebitamente superiore alla norma. L’ultimo bilancio da -35,7 milioni è stato apprezzato perché ha cristallizzato il trend in calo dei passivi: da -245 nel 2021 al quasi equilibrio odierno al netto dei pesanti interessi generati da un bond (scadenza 2027) da oltre 400 milioni che rappresenta una zavorra per il conto economico nerazzurro. Come tutti i fondi, Oaktree è di passaggio a Milano: il tempo di intervenire su ricavi e costi, provare a mettere a terra il progetto nuovo stadio, e poi ci sarà spazio per altri investitori. Chi, quando, come e da dove è tutto da scrivere con un’unica certezza: oggi la Serie A attira investimenti da fuori sul presupposto della possibilità di sviluppare progetti immobiliari e infrastrutturali redditizi. Non avviene quasi mai, ma per ora il giochino regge. Poi si vedrà.

Dall’altra parte del Naviglio il problema è opposto. Gerry Cardinale ha vinto gli ultimi due scudetti del bilancio registrando utili per complessivi 10 milioni di euro, ma guai a dirlo ai tifosi che stanno vivendo come una violenza la razionalità con cui viene condotta la società mentre i cugini indebitati festeggiano. All’ultima assemblea dei soci il presidente Paolo Scaroni, scherzosamente soprannominato Stadioni per la convivenza forzata giorno e notte con le questioni legate al nuovo San Siro, ha provato a garantire che tutto viene fatto perché si traduca in spese per rafforzare la squadra e tornare a vincere, ma l’avvio di stagione di Fonseca è stato come gettare benzina sul fuoco del malcontento. La verità è che la strada dovrà essere quella per tutti, ma servirà prima un cambiamento culturale complessivo che allinei l’ecosistema del calcio italiano alle best practice europee che si trovano in Germania: dal Bayern Monaco in giù, la Bundesliga è il paradiso di proprietari e azionisti. Nel 2023 l’aggregato delle 18 partecipanti al massimo campionato tedesco è stato in utile di 40 milioni di euro, quello delle 20 della Serie A in negativo di oltre 400. Game, set and match.

Anche in Italia, in realtà, c’è chi ci riesce. L’Atalanta dei Percassi che si è aperta a un socio made in Usa come Pagliuca ha chiuso nel 2023 l’ottavo bilancio in utile consecutivo della sua storia e dal 2010 ha creato ricchezza per oltre 163 milioni di euro ridistribuendola in investimenti a lunghissimo termine (acquisto e ristrutturazione dello stadio) o sulla squadra. Che nel frattempo, plasmata dalle mani sapienti di Gasperini, si è pure tolta la soddisfazione di conquistare una storica Europa League e di diventare cliente assidua della Champions League. Stando ai dati disponibili della semestrale della stagione 2023/2024, quella chiusa col trionfo a Dublino, gli utili dovrebbero salire a nove.

Al Napoli di De Laurentiis il colpaccio è riuscito nell’annata dello scudetto vinto da Spalletti dopo 33 anni di digiuno: 79,7 milioni di euro di utile e tricolore in bacheca. Un miracolo dentro un periodo in cui ADL ha accumulato riserve ma anche, causa Covid, qualche passivo di troppo (-50,1 il conto complessivo). Poi è arrivata la stagione scorsa a raffreddare gli entusiasmi e far fallire ai campioni d’Italia anche l’accesso alla Champions League che si tradurrà in un probabile rosso nel 2024 (dati non ancora pubblicati) con possibili ripercussioni anche sul 2025 visto che il patron ha messo mano al portafogli per tornare a schierare una squadra competitiva in fretta, affidata al tecnico più bravo – ma anche più costoso – nella difficile materia del “vincere in fretta a qualsiasi costo”.

Nella Capitale il più bravo a far di conto è sempre stato Claudio Lotito con la sua Lazio condotta con misura, senza mai fare il passo più lungo della gamba. Dal 2020 al 2024 il passivo è stato di 45,5 milioni di euro, ma anche in questo caso ha influito in maniera determinante il Covid. L’ultimo conto economico ha segnato uno straordinario +38,5 e il patron ha avviato un nuovo ciclo sportivo portando giocatori giovani, motivati e meno costosi rispetto a quelli partiti: i risultati gli stanno dando ragione.

Chi non trova la strada giusta sono, invece, i Friedkin. La Roma ha bruciato dal 2020 un’enormità di denaro per non vincere nulla se non una Conference League e per restare ai margini della Champions che servirebbe per risanare i conti. Meno 710 milioni il totale e all’appello manca ancora il conto economico chiuso lo scorso 30 giugno, certamente con un altro passivo importante. La squadra è passata da Mourinho a De Rossi e da questi a Juric. La piazza è scontenta e contesta, nonostante l’Olimpico continui a ribollire di passione e a segnare sold out a ripetizione. I Friedkin, nel frattempo, si sono comperati l’Everton giurando di non aver in mente di traslocare in Premier League abbandonando l’Italia. A Roma c’è un progetto che dovrebbe essere avviato per lo stadio a Pietralata ma negli ultimi mesi se n’è un po’ perso il senso d’urgenza che pareva esserci all’inizio. Segnali da cogliere o solo coincidenze?

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Giovanni Capuano