Silvio Berlusconi, presidente, visionario, creatore del Milan che si prese il mondo
Da società in crisi alla squadra più vincente del mondo; la storia della presidenza Berlusconi è un «unicum» che rimarrà indelebile nella storia. come le sue squadre
Il presidente più longevo della storia del Milan e anche il più vincente. In rossonero di sicuro, ma Silvio Berlusconi ha amato ripetere per tutta la sua vita di esserlo stato in assoluto, più di Santiago Bernabeu al Real Madrid e più di chiunque altro. Di sicuro ha lasciato il segno e non solo nella traiettoria del Vecchio Diavolo, preso per i capelli mentre stava per fare una fine ingloriosa a metà degli anni Ottanta e riportato sul tetto d’Italia, d’Europa e del Mondo. Non senza dividere e far discutere, attirandosi amore incondizionato ma anche antipatie represse.
E’ stato, Silvio Berlusconi dirigente sportivo, un visionario prima ancora che un vincente. Ha cambiato le regole del gioco dal primo giorno, l’uomo degli elicotteri e della cavalcata delle Valchirie all’Arena di Milano, degli investimenti quasi senza limite, dei Palloni d’Oro collezionati sul mercato ma anche del coraggio nello scegliere gli uomini cui affidarsi. L’amicizia con Adriano Galliani ne ha attraversato la vita calcistica e ha formato una coppia senza eguali prima e dopo. Competente e moderna. Arrigo Sacchi è stata un’intuizione di Berlusconi e ha aperto un capitolo rivoluzionario nella lunga storia del calcio italiano. Fabio Capello, seconda visione del presidente, ha rappresentato un profilo diverso, manageriale, coltivato all’interno dell’azienda e trasferito alla panchina quasi con logica di scouting interno. Carlo Ancelotti è stato il cuore e ha incarnato l’ultimo Silvio vincente, quando già il pallone internazionale stava diventando un gioco troppo grande anche per un uomo ricchissimo e poliedrico come il Cavaliere.
E’ stato proprietario del Milan per 31 anni, dal 24 marzo 1986 al 13 aprile 2017 quando ha lasciato allo sconosciuto cinese Yonghong Li aprendo la nuova fase della storia rossonera. La contabilità notarile dice che ha vinto 29 trofei, portando il club a conquistare l’Europa sotto la sua guida per cinque volte e per tre laureandosi campione del Mondo. Mai come nel suo caso, però, i numeri non dicono nulla.
Il suo Milan è stato l’immagine della Milano rampante degli anni Ottanta, il simbolo del potere (anche politico) degli anni Novanta e la coda del periodo d’oro del nostro calcio all’inizio dei Duemila. E’ stato il laboratorio che ha sperimentato la rivoluzione televisiva mettendo in rete le anime della sua vita imprenditoriale. Ha pensato al campionato europeo (oggi declinato come Superlega) con trent’anni di anticipo su tutti gli altri. E’ stato precursore nella valorizzazione dell’immagine dei calciatori e del suo Milan. Ha vinto tanto e perso pure, come succede a tutti i purosangue dello sport.
L’avventura al Monza, ultima della sua carriera, è stata quasi lo sfizio finale. Soffriva a stare fuori da quel mondo, era felice di aver assecondato il sogno dell’amico Adriano e aveva il progetto di portare la Brianza - terra d’elezione - prima in Serie A e poi in Europa. Raggiunto il primo obiettivo, il secondo chissà.