Ora è ufficiale: Thiago Motta non è più l’allenatore della Juventus. Esonerato con effetto immediato, sulla panchina dei bianconeri alla ripresa del campionato siederà Igor Tudor con il compito di salvare la stagione che significa riuscire ad agganciare un posto nella prossima Champions League, traguardo minimo per non causare un danno di decine di milioni di euro al club. La comunicazione è arrivata in tempo per evitare che il tecnico tornasse alla Continassa a guidare un gruppo che lo aveva sfiduciato: tre giorni di riposo durante i quali i dirigenti e la proprietà hanno maturato lo strappo definitivo senza concedere l’ultimo appello contro il Genoa dopo la sosta nazionali.
Decisivi due incontri. Quello post Firenze, in cui i toni tra Giuntoli e Thiago Motta sono stati aspri e nel quale all’allenatore è stata imputata anche la mancanza di reazione rabbiosa davanti alla crisi, e quella di venerdì in cui alla proprietà è stato prospettato lo scenario del cambio immediato chiedendo autorizzazione all’extra budget.
Thiago Motta paga il rendimento e i risultati pessimi della Juventus che doveva essere quella della ripartenza. La statistica è impietosa: si è seduto 42 volte sulla panchina juventina e ha vinto meno della metà delle partite (18 ovvero il 42,86%), non è mai stato in corsa per lo scudetto nonostante l’andatura lenta della parte alta della classifica, ha bruciato Supercoppa Italiana e Coppa Italia – umiliante il ko interno con le riserve dell’Empoli – e anche in Champions League non è mai stato oltre la linea della mediocrità.
Carattere spigoloso, scarsa empatia con il gruppo, rapporti freddi con molti giocatori, leader progressivamente allontanati e confusione nelle scelte: i capi d’accusa verso l’allenatore voluto per il dopo Allegri sono numerosi e hanno riguardato non solo questioni di campo. Insopportabile non vedere un percorso di crescita dalla fine dell’estate alla primavera, faticare a scorgere un’identità nel gioco, troppo spesso piatto, assistere al valzer dei ruoli e dei capitani, veder bruciare valore di acquisti costati tantissimo e mal utilizzati. Thiago Motta non poteva sopravvivere a una stagione trascinata come lungo un piano inclinato, il suo destino era segnato da tempo e il precipitare della situazione da metà febbraio in poi ha solo accelerato l’addio.
Però è giusto ricordare che Thiago Motta paga anche per errori non suoi e che le riflessioni sui motivi del fallimento dell’Anno Uno della nuova era juventina riguardano anche altri, a partire dal riferimento dell’area tecnica Cristiano Giuntoli. Un mercato onerosissimo e con diverse incongruenze, doppioni pagati caro e altri acquisti sopravvalutati, investimenti che peseranno anche sulle prossime stagioni e che limitano il giudizio positivo per il taglio al monte ingaggi (una ventina di milioni di euro in parte bruciati dall’esonero del tecnico), squadra troppo giovane e inesperta in molti elementi.
Giuntoli ha avuto carta bianca dalla proprietà, doveva essere il responsabile unico della parte sportiva e il bilancio delle sue prime due stagioni è negativo. Quella con Allegri è stata una sorta di vacatio, conclusa con lo sfogo del livornese che tutti i torti non aveva, considerato che a febbraio si stava ancora giocando lo scudetto pur non avendo ricevuto alcun sostegno. Questa sarà, nella migliore delle ipotesi, una faticosa rincorsa al traguardo minimo nonostante l’opulenza del budget a disposizione. Ha scelto lui Thiago Motta e se l’allenatore non si è rivelato adatto, prima di tutto dal punto di vista caratteriale, la colpa è anche di chi lo ha voluto. Idem per alcuni calciatori: Douglas Luiz, Koopmeiners e Nico Gonzalez.
In estate non ha provveduto a prendere un vice Vlahovic, in inverno ha tardato a coprire la falla difensiva aperta a inizio ottobre dall’infortunio di Bremer preferendo investire soldi importanti su un profilo non prioritario come Alberto Costa. Ha smantellato i frutti della Next Gen per fare cassa cadendo in cessioni discutibili. Un esempio? Huijsen al Bournemouth per 15 milioni più 3 di bonus, conteso pochi mesi dopo dalle big d’Europa al quadruplo della valutazione, con in rosa ora Kelly che dagli inglesi è stato lasciato a scadenza di contratto, poteva essere preso gratis ed è stato pagato 21 milioni (bonus compresi) più altri 3 di commissioni.
A bocce ferme, insomma, sul banco degli imputati dovrà salire anche lui. Non necessariamente per un altro ribaltone, ma perché pensare di affidare fideisticamente l’ennesima ripartenza allo stesso uomo che ha avuto le chiavi in mano dall’estate 2023 non pare una scelta funzionale. Si riparte da qui.