Caporetto: quando gli ultimi furono i primi
Alfio Caruso racconta il sacrificio di migliaia di umili soldati. Mandati allo sbaraglio da generali sprezzanti della vita altrui
"Mi si perdoni il sentimento di orgoglio di esser certo: come li ho snidati dal Sabotino e dal Kuk, li ricaccerò dalla fronte del XXVII Corpo (...)"
Dichiarazione di Pietro Badoglio alla vigilia della disfatta di Caporetto
MISERIA E NOBILTÀ
Il supremo Generale Luigi Cadorna aveva ancora in mente una guerra risorgimentale: fatta di attese e grandi offese, di scontri all'arma bianca portati avanti da una massa indefinita di povera gente sconosciuta, carne da macello.
Quella massa di umili Fanti, Alpini, Bersaglieri, invece, il Risorgimento non sapeva neppure cosa fosse stato.
Però nel nome dell'Italia governata dalle élites dello "Stato Liberale" era stata mandata al macello dal capo supremo del Regio Esercito, un rampollo di una famiglia blasonata che aveva mantenuto una distanza abissale dalle centinaia di migliaia di italiani che erano morti nelle trincee del fronte italiano dopo mesi di vita malsana fatta di tubercolosi, cancrena e pidocchi.
Il punto di vista su Caporetto di quel popolo umile viene presentato da Alfio Caruso nel suo nuovo libro, Caporetto- L'Italia salvata dai ragazzi senza nome (Longanesi 2017).
COME IN RUSSIA?
Al settembre del 1917 il morale delle truppe italiane era allo stremo, ai limiti della ribellione che in quei giorni diventava realtà in Russia e che Cadorna osteggiava e disprezzava. Così come non sopportava i suoi ufficiali quando lo informavano del basso morale dei soldati, tanto da mandare a processo anche ufficiali che contribuirono a mettere una pezza al disastro della controffensiva Austriaca della primavera del 1916: bastava una critica velata al "generalissimo" per essere condannati. La decisione di mantenere lo status quo sul fronte dell'Isonzo, senza pensare ad un possibile attacco nemico prima della successiva primavera fu irrevocabile.
Al giovane e rampante Pietro Badoglio, odiato dagli alti comandi per la carriera fulminea durante la guerra fu affidato il settore più delicato del fronte: Tolmino, dove la minaccia era costituita dalla testa di ponte che gli Austriaci erano riusciti a mantenere per tutte le 11 battaglie dell'Isonzo.
CADORNA INTERROMPE LA SUA "VACANZA"
Alla vigilia di Caporetto, Cadorna è "costretto" a ritornare da una vacanza e a incontrare il generale Capello, ormai devastato dagli effetti della nefrite. Mentre i due discutono a Udine (in quella che era diventata la vera e propria "corte" del Generale) i Tedeschi e gli Austriaci sono pronti a sfondare.
LE CHIACCHIERE AL COMANDO, LA MORTE AL FRONTE
Alla vigilia della più grande disfatta militare italiana, gli alti comandi ondeggiavano tra una sorta di anarchia a seconda dei settori di competenza e un tragico senso dell'umorismo che si faceva beffe delle notizie dei disertori sull'attacco imminente nella zona di Caporetto, nonostante fossero stati forniti documenti e mappe che certificavano l'imminenza dell'attacco proprio dalla conca di Tolmino verso Caporetto.
Lo sfondamento avvenne la mattina del 24 ottobre 1917 nella nebbia fitta proprio in quel settore e fu travolgente, mentre i soldati italiani erano investiti a Plezzo dalle bombe a gas e dalle squadre d'assalto tedesche con le nuovissime mitraglie MG08 venendo annientati.
Le cime conquistate in due anni di martirio cadono una dopo l'altra. Giunti a Plezzo, gli Austriaci attaccano già la seconda linea italiana dove, a dispetto delle accuse di Cadorna, gli Alpini del Btg. Ceva si battono all'ultimo sangue per arrestare l'ondata nemica. Su 230 alpini ne sopravvivono 20, giusto per rendere l'idea del "sacrificio degli ultimi".
Quando ormai regna il caos nei comandi italiani, il generale Cavaciocchi (uno zelante fucilatore di "codardi") si rende conto di non conoscere nè i suoi nè il territorio e sprofonda nell'apatia mentre i poveri fanti e alpini cercano di resistere senza collegamenti nè rinforzi (brigate Potenza, Etna, Genova). Si combatte come si può prima di essere travolti anche sul Mrzli e Vodil, mentre uno degli uomini di Cadorna praticamente si fa arrestare dagli Austriaci già entrati a Caporetto: è il comandante della 43ma Divisione, Generale Angelo Farisoglio.
Trattato alla pari dagli Austriaci, si produrrà in retoriche condanne di codardia nei confronti dei soldati italiani che morivano ai suoi confusi ordini. Mentre si consumava il sacrificio delle Brigate (Caltanissetta, Alessandria) dove si immolarono soprattutto i giovani compresi gli ufficiali di complemento, Badoglio sparava dalla sua automobile contro la massa dei soldati in ritirata.
È COLPA DEGLI ALTRI. UMILI E "VIGLIACCHI"
Cadorna da Udine impreca e comincia a falcidiare i suoi collaboratori, a cui imputa la colpa. Il primo è Cavaciocchi. Ma non sa neppure che la sua disonorevole "truppaglia" sta morendo con le armi in pugno, dato che i collegamenti da lui tanto decantati erano tutti fuori uso. Il copione si ripete nei giorni successivi quando è decisa una prima linea di difesa sul fiume Tagliamento, sotto la pressione dell'ondata nemica iniziata due giorni prima.
A Clabuzzaro (Udine) il generale Giovanni Villani si spara perché colto dal rimorso e dalla visione terribile della disfatta. Altre migliaia di vittime costerà una linea difensiva malamente organizzata e fragile: quella sul Tagliamento nelle ore in cui gli Austriaci ed i Tedeschi puntavano inesorabilmente verso Cividale e verso il cuore del Comando Supremo che fu il regno di Cadorna: Udine, dove i soldati italiani ingaggiarono una lotta casa per casa pur di cercare, male armati ed addestrati, di fermare gli Jaeger tedeschi armati di mitraglie e lanciafiamme.
Arrivano alle porte della città il 28 ottobre, quando i palazzi e gli alberghi si sono già svuotati degli alti ufficiali "viveurs" che avevano animato le serate di Udine ben lontano dalle granate. I fanti combattono come possono, gli arditi uccidono addirittura un generale austriaco con un colpo di mano nella zona periferica di S.Gottardo.
Nei giorni che seguirono la disfatta e la successiva sostituzione di Luigi Cadorna con Armando Diaz fortemente voluta dal neo presidente del Consiglio Orlando e dagli alleati che non avevano mai visto di buon occhio il Generalissimo italiano, continuarono gli episodi di eroismo caratterizzati dalla determinazione e dalla spontaneità, nel ripiegamento dal Tagliamento alla linea difensiva definitiva del Piave che costò altre migliaia di vittime umili e silenziose.
Come le due Divisioni 36a e 63a che restano imbottigliate in Carnia e combattono le soverchianti forze nemiche fino al corpo a corpo, il passaggio del Tagliamento della Brigata Sassari, la battaglia sulle alture del Bellunese conclusasi con l'ultima, strenua, resistenza di oltre 10mila soldati.
I SOLDATI VOGLIONO TORNARE A COMBATTERE
Passata relativamente la bufera, saranno in molti tra quelli che avevano fatto parte dell'ondata di sbandati che gonfiò le file della rotta di Caporetto a presentarsi nuovamente negli improvvisati posti di raccolta per essere nuovamente mandati a combattere verso una vittoria che li attenderà esattamente un anno più tardi. Altro che vigliacchi.