Cinema contro Serie Tv: l'Italia che perde e che vince
Alle Giornate internazionali del cinema si è discusso del rapporto fra fiction e grande schermo. E di cosa sia cambiato negli ultimi anni
Pensate a Gomorra. A Romanzo criminale, Montalbano, Suburra ma anche a La porta rossa. Tutte fiction ben recitate, ben scritte, ben girate. Capaci di uscire dai patrii confini e di essere vendute all’estero. E il cinema italiano? Salvo pochi casi (Chiamami con il tuo nome) arranca, vive di trasparenza internazionale, irrilevante, spesso urticante, incapace persino di attrarre il pubblico nazionale, eccezione fatta di Checco Zalone.
E allora, che dire? Meglio la fiction o meglio il cinema? E cosa ha dato quest’ultimo, più “vecchio” alla più giovane forma di espressione? Se lo sono domandati agli Incontri internazionali del cinema di Sorrento (18-22 aprile) chi nell’ambiente opera da anni. Come Barbara Salabè, presidente e manager director della Warner, che ricorda: “La grande serialità nasce una decina di anni fa con Lost, Grey’s anatomy… Titoli con ambizioni cinematografiche. Un big bang. Mentre il cinema italiano non è riuscito ad avere i livelli della serialità. Ha bisogno di investimenti internazionali, solo così comincerà a viaggiare. Deve avere più coraggio”.
Incastrato in commedie senza anima, succube di clichè, con poche idee e molta confusione: questo il ritratto del nostro cinema degli ultimi anni. E se è finita l’epoca in cui si raccontava la vera Italia (neorealismo e cugini annessi), salvo rare eccezioni (Paolo Sorrentino), attaccato all’osso della narratività tricolore è rimasto ben poco. Riccardo Tozzi, anima di Cattleya, la più grande società di produzione italiana, spiega: "Si devono fare film nel modo in cui si lavora alle serie, ovvero legandondoli a un genere. Storie con forte capacità simboliche. Storie che sono strumento di decodificazione del mondo. Solo così si riuscirà ad attrarre anche in sala i giovani".
A pochi chilometri da Sorrento, in provincia di Salerno sono da qualche mese in corso le riprese de L’amica geniale, serie tv tratta dai quattro romanzi-fenomeno di Elena Ferrante. Fra i produttori (Rai, HBO) figura anche la Wildside, dinamica casa di produzione, di cui Mario Gianani è uno dei fondatori, che dice: “Il cinema è succube della tv. Da tre anni chi fa cinema è uno “sfigato”, esattamente l’opposto che in passato. La tv ha detto: “Sono ambiziosa. Voglio fare serie come quelle americane”. E ci siamo riusciti, abbiamo alzato il livello. Invece il grande schermo è rimasto schiavo della commedia, genere difficilissimo da esportare”.
Un cinema lontano dalla logica del finanziamento statale, con storie forti e qualcosa da raccontare. E una tv di contenuto, contrappeso al generale bla-bla-bla da salotti.