Oh mio Dio! Gesù riappare in “flash mob” – La recensione
Il filmmaker milanese Giorgio Amato racconta con originale “santità” il ritorno di Cristo ai giorni nostri: predicando amore in una Roma indifferente
Tempo di ritorni. A volte. È successo con Benito Mussolini in Sono tornato di Luca Miniero, adesso tocca addirittura a Gesù in Oh mio Dio! (in sala dal 26 marzo, durata 96’) di Giorgio Amato, filmmaker milanese fuori steccato che immagina una rentrée del Cristo sulla Terra, più esattamente nella sbrindellata Roma dei giorni nostri, richiamato dall’urgenza di dispensare una nuove manciate d’amore e fratellanza tra le pieghe di una umanità inacidita. Riuscendo nell’intento di scantonare dalla facile ironia o, peggio, dalla satira e da qualche sciagurata irruzione dissacratoria nella blasfemìa con un film di “santità” bizzarra e sbarazzina, sorretto dalle tecniche mockumentary, cioè del falso documento e qua del giusto movimento (di macchina da presa in spalla).
Incredulità e sfottò nella città acida e intollerante
Dunque Gesù. Gli dà volto, azioni e tunica amaranto Carlo Caprioli, che col suo cognome riconduce a papà Vittorio ma che merita però, al di là degli affetti, il rilievo di un’autonoma e finora brillante carriera d’attore (teatro, cinema e tv). Riaffiora in una città dove il concetto di solidarietà pare disinnescato e dove, naturalmente, becca manciate di indifferenza e incredulità a piene mani quando proprio la faccenda non si traduce in sfottò e commiserazione.
Prodigi, fratellanza, carità: come risposta un pestaggio
E sì che questo redentore del XXI secolo, come si dice, non si fa mancare nulla. Cammina sulle acque del Tevere, lèvita, fa miracoli, guarisce persone malate, esorcizza un’indemoniata in una perfetta sequenza horror, resuscita un morto, prova a sostenere con modi divinamente misericordiosi la causa degli immigrati davanti a un loro ricovero, trovandovi però un presidio di energumeni che allo slogan di “prima gli italiani!” lo riempiono di democratiche botte e stesso pestaggio rischia (se non di peggio) quando trasforma in sale la cocaina di una gang di spacciatori.
L’epilogo della storia - e di una missione che poco a poco vince anche parte del generale scetticismo - lo si lascia logicamente allo spettatore. Che potrà anche scoprire quanto e come gli odierni social tratterebbero l’argomento, magari completando la parola divina con una buona dose di viralità.
Interviste, candid camera, evangelizzazione "in diretta"
Insomma tutto secondo le regole, prodigi compresi. E inclusa un’ultima cena con gli apostoli: seguaci fedelissimi, umili e diffusori del verbo, reclutati qua e là, testimoni postumi come mamma Maria (Anna Maria De Luca) – delineandosi l’azione messianica come un flashback scaturito dai loro racconti – attraverso una serie di “interviste” costruite nella cifra dell’inchiesta. In piena sintonia, perciò, con quei riuscitissimi modi di ripresa (autore della fotografia è Bruno Cascio) che spostano il racconto sui pianori del reportage più credibile del mondo, spesso riproducendolo – come “in diretta” - nello stile di una candid camera o nell’irruzione di un trasecolante, evangelizzante flash mob.
C’è anche una Maddalena (Giulia Gualano), tra gli “apostoli” più assidui agiscono Pietro (Stefano Fregni), Jacopo (Vanni Fois), Matteo (Alessio De Persio), Tommaso (Daniele Monterosi), Filippo (Dario Mascello), Andrea (Mimmo Ruggiero).
Equilibrio e misura narrativi nella cifra più personale
Amato arriva a queste conclusioni dopo due film per il cinema (Circuito chiuso e Il ministro), un terzo dal titolo tarkovskjiano passato direttamente in release dvd (The Stalker), una serie televisiva (100 bullets d’argento) e un corto (Vegan Love): nell’ambito di una traiettoria personalissima e aliena che qua, per così dire, si precisa anche in termini di equilibrio e di misura narrativi nella stesura, lo sviluppo e la realizzazione di un’opera non proprio facile da rappresentare e configurare, a basso budget e un certo entusiasmo artigianale, con adeguata ponderatezza (senza svuotarla di energia).
Tutto ciò sulla scorta di un suo progetto di qualche tempo fa, probabilmente aggiornato sulla scorta dell’ironico The Second Coming di John Niven (il romanzo è stato pubblicato in Italia nel 2012 da Einaudi col titolo A volte ritorno) senza che il riferimento, però, screpoli l’originalità dell’intrapresa cinematografica.