Cinque motivi per riscoprire "Grace" di Jeff Buckley, il disco-capolavoro del 1994
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Cinque motivi per riscoprire "Grace" di Jeff Buckley, il disco-capolavoro del 1994

Compie vent'anni l'album di debutto più acclamato dalla critica di tutto il mondo

Non è un modo di dire. Grace di Jeff Buckley è davvero uno degli ultimi dischi-capolavoro del rock. Uscito nell'agosto del 1994, compie in questi giorni 20 anni. Un anniversario senza gioia, perché Jeff (il figlio del folk singer Tim Buckley) non è più tra noi dal 29 maggio del 1997 quando venne risucchiato, in circostanze mai del tutto chiarite, dalle acque del Mississippi, in Tennessee. 

Di lui restano una manciata di canzoni senza tempo, i lampi di un artista geniale ed eccezionalmente creativo.

Ecco 5 ottimi motivi per avere Grace nella propria collezione di musica essenziale. Per chi non lo ha mai ascoltato o magari per chi ha semplicemente voglia di riscoprirlo. 

1) La voce: quella di Buckley era una voce speciale. Angelica, a tratti, drammatica, sgraziata, disperata. No, non era un vocalist da bel canto, ma un cantante in presa diretta con le emozioni e i sommovimenti dell'anima. 

2) Le canzoni: più che brani, viaggi sensoriali. In Grace la qualità media dei pezzi è altissima. Da Mojo Pin a Dream Brother, a So Real. Tra il garage rock di Detroit, le visioni psichedeliche e le evidenti influenze soul, blues e jazz. Un caleidoscopio di suoni da un altro pianeta dell'arte. Quello dei geni senza se e senza ma. 

3) Le cover: Una più bella ed intensa dell'altra. La più nota è Hallelujah di Leonard Cohen, mai interpretata con tanto pathos ed intensità. Da brividi. Come Lilac Wine di Nina Simone, e Corpus Christi Carol, un brano che affonda le origini nel 1500, ripreso poi dal compositore contemporaneo inglese, Benjamin Britten. 

4) La cultura musicale: il sound di Buckley non era banalmente connesso alle tendenze del suo tempo (nel 1994 si stava esaurendo l'onda del grunge). Era piuttosto il risultato di una straordinaria cultura musicale fatta di migliaia di ascolti a tutto campo. Senza distinzione di genere. Dal gospel, alla lirica, dall'heavy metal al soul. Anche per questo, Grace è e resta un unicum non replicabile. 

5) Dream Brother: è il titolo della canzone che chiude Grace. Un pezzo costruito su crescendo memorabili, squarci di psichedelia e chitarre ruvide. Ci sono intere carriere di nomi altisonanti che non si sono mai lontanamente avvicinate a queste vette. Il testo parla di un uomo e della sua tendenza fatale all'autodistruzione. Un amico? Forse. Ma anche suo padre, Tim, ucciso da un'overdose nel 1975.

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Gianni Poglio