Salvatores riflette sulla comicità: «Mi fa ridere ciò che mi sorprende»
Intervista al regista e ai due «maestri» comici Christian De Sica e Natalino Balasso, che nel film «Comedians» duellano su diverse concezioni di comicità: è un momento di evasione o un mezzo per pensare?
Sei aspiranti comici in cerca di un palcoscenico. E due maestri a indicar loro opposte vie. Sono i protagonisti sull'orlo del fallimento di Comedians di Gabriele Salvatores (dal 10 giugno al cinema con 01 Distribution), film che si interroga sulla comicità e sul mestiere del comico, che il regista napoletano, milanese d'adozione, ha tirato fuori come un coniglio dal cilindro girandolo in piena pandemia. In verità, però, Comedians è un amore antico di Salvatores, che già aveva riletto il testo del drammaturgo inglese Trevor Griffiths per portarlo a teatro, all'Elfo di Milano, nel 1985: allora c'era un cast di giovani attori (Paolo Rossi, Silvio Orlando, Claudio Bisio, Bebo Storti, Renato Sarti) destinati a diventare famosi e fu replicato per tre anni. Per Salvatores fu una sorta di trampolino verso il cinema.
«35 anni dopo dal testo emergono anche gli aspetti più scuri, malinconici e riflessivi», ci spiega Salvatores, che abbiamo incontrato insieme a due protagonisti del film, Christian De Sica e Natalino Balasso, due attori che di comicità, tra cinema e teatro, potrebbero dare lezioni. Come in effetti fanno i loro personaggi nel film.
In Comedians, tra gli aspiranti comici, c'è il muratore, c'è l'impiegato, c'è l'agente immobiliare, il ferroviere, età diverse, aspirazioni simili, tutte umanità in cerca di riscatto e di successo tramite la stand-up comedy. C'è l'ebreo, il meridionale, il ragazzo strafottente. Sono interpretati da Ale e Franz, Marco Bonadei, Walter Leonardi, Vincenzo Zampa e Giulio Pranno, giovane attore emergente che Salvatores aveva già voluto come protagonista di Tutto il mio folle amore.
Si ritrovano nel corso serale di un bravo comico che ha più talento che soldi e allori, Eddie Barni (Balasso). Sono all'ultima lezione del corso e la loro esibizione finale sarà giudicata da un altro comico affermato, che potrà selezionarli per spettacoli televisivi. È la loro occasione. Purtroppo per loro, però, il comico in arrivo da Roma è Bernardo Celli (De Sica), un rivale del loro maestro, che ha scelto una strada opposta, fatta di risate più facili e tasche piene.
Il loro primo incontro in scena è una tenzone verbale celere, senza respiri di pausa, in cui ogni battuta - e poi ogni controbattuta - affonda il colpo e poi affonda ancora. «La risata è il mezzo, non è il fine», sostiene Barni/Balasso. «Il comico è uno che osa, che va a scoprire da cosa fuggono gli spettatori. La vera battuta deve voler cambiare una situazione». Diametralmente opposta la visione di Celli/De Sica: «Non cercate di essere profondi, siate semplici. Non fate i filosofi. Siamo fornitori di risate. Aiutiamo il pubblico a tirare avanti. La gente non vuole troppa verità».
E probabilmente c'è un po' di verità in ogni approccio. Sbuca, come riflesso più ampio, il dilemma atavico sull'arte: fine a se stessa o per educare?
Per i sei aspiranti comici scatta il dissidio interiore: rimanere fedeli agli insegnamenti del maestro o allinearsi ai suggerimenti del più potente e celebre esaminatore?
Intanto fuori un temporale lungo e scrosciante sembra ingabbiare i comici nella loro aula, dando una sensazione quasi soffocante di impossibilità di fuga. «La pioggia c'è nel testo originale ed è una bella indicazione» racconta Salvatores. «Spesso la pioggia assume un'altra valenza narrativa, come ad esempio in Blade Runner. In questo caso, dentro quell'aula si parla di arte, di comicità, fuori però c'è la realtà, un mondo difficile, freddo, che infatti questi personaggi vogliono in qualche modo superare, vogliono avere un upgrade sociale, fuori invece c'è un temporale che si ammassa, un'umanità piccola e povera. Volevo che si sentisse questo contrasto: l'arte del comico dentro, in uno spazio chiuso, fuori un mondo umido, bagnato, freddo, a volte difficile da affrontare, come la vita».
Christian De Sica commenta: «La versione teatrale di Gabriele era uno spettacolo sui comici ma anche comico, dove gli attori facevano le loro performance comiche. Andando avanti con gli anni a Gabriele interessa più parlare dei comici che non dello spettacolo comico, oggi ha una visione diversa di quella storia». De Sica e Salvatores, tra l'altro, condividono la stessa età, 70 anni: «Gabriele ha un grande entusiasmo… Sentiamo che dentro il pacchetto le caramelle stanno finendo quindi dobbiamo sbrigarci a fare tante cose. Siamo molto fortunati perché con il nostro mestiere continuiamo a giocare. Mio padre (Vittorio De Sica, ndr) prima di morire mi ha detto: "Christian, continua a giocare, non crescere, rimani bambino, perché se sei disincantato questo mestiere non lo fai più"».
Christian De Sica (Foto Ansa/Ettore Ferrari)
Fuori l'acquazzone scuro e ininterrotto scroscia dall'inizio alla fine del film e ingabbia. E in fondo il comico, probabilmente, è davvero un po' in gabbia, stretto nell'onere di dover far sempre ridere. «C'è un malinteso nel senso della comicità e della commedia», osserva però Natalino Balasso. «Nelle rassegne teatrali vedo sempre titoli orrendi tipo "Ridere a teatro", "Facciamoci due risate", "Ridiamo insieme": si scambia la comicità per il riso, quando sappiamo benissimo che una partita di calcio non è fatta di calci di rigore e basta. Per la tragedia non ho mai visto titoli come "Facciamoci due lacrimoni insieme", "Piangiamo insieme". Se io non piango durante la tragedia allora il tragico non è bravo? Visto che il comico non è bravo se non mi fa ridere come dico io, allora se il tragico non mi fa piangere non è bravo neanche lui? Non è così semplice. La comicità è una forma poetica esattamente come la tragedia, ma sono corde che si intersecano, che è impossibile slegare. È impossibile che la comicità non nasconda il tragico, così come noi possiamo anche sorridere del tragico. In questo era abilissimo Hitchcock che faceva film di tensione incredibile e poi metteva piccoli elementi per allentare, come solo Disney è riuscito a copiare. Secondo me Boldi e De Sica sono due personaggi tragici».
«Che bellezza Hitchcock!» gli fa eco De Sica. «Nel film girato in Marocco, L'uomo che sapeva troppo, è stato obbligato a mettere una canzone, anche brutta, Que sera, sera, cantata da Doris Day, ed è diventata un richiamo pazzesco. Questa è la genialità dei grandi registi».
Comedians, più che uno zampillar di risate, è un'indagine sul concetto di comicità. Ma… cosa fa ridere Salvatores, De Sica e Balasso?
«È curioso ma dopo il primo Comedians, quello messo in scena a teatro nell'85, avendo fatto un'indigestione di barzellette e gag, ho avuto un rapporto particolare con la comicità» dice Salvatores. «Successivamente ho fatto dei film (Marrakech Express, Turné, Mediterraneo) in cui ci sono delle cose che fanno ridere, ma per un periodo ho rifiutato la comicità fine a se stessa, la battuta. Adesso ci ho fatto un po' pace. Mi fa ridere quello che mi sorprende, che in qualche modo spiazza e cambia il punto di vista». Salvatores ci racconta anche una barzelletta per farci capire il meccanismo comico che gli piace: «C'è un elefante che si sveglia la mattina e si dice: "È assurdo che io abbia paura dei topi, io che sono un animale enorme. Adesso il primo topo che incontro, lo aggredisco psicologicamente così prendo vantaggio". Passa un topino e gli dice: "Che schifo di animali sei? ma sono orecchie quelle?! queste sì che sono orecchie". Il topolino abbassa le orecchie. "E quelli sono denti? Guarda qui che denti ho io. E la coda? Quel vermicello schifoso che hai dietro. Guarda qua che coda che tengo". Il topo lo guarda: "Oh, io so' stato malato eh" ». Salvatores sorride: «Una barzelletta molto napoletana. Ti porta in una direzione che non ti aspetti e viene fuori un'altra cosa». E i film che lo hanno fatto ridere? «Mi ha fatto commuovere e ridere, e lo fa ancora oggi, L'appartamento di Billy Wilder. Un film che mi ha fatto proprio rotolare è invece Frankenstein Junior, quando è uscito ero impazzito, faceva veramente ridere. E poi i Blues Brother, i film di Totò, di Peppino…».
Natalino Balasso (Foto Ansa/Ettore Ferrari)
«A me hanno fatto sempre ridere i Monty Python», dice Balasso. «Non credo però che sia importante cosa fa ridere un comico. Anzi, credo che spesso i comici siano indotti in errore proprio da questo: cercano di rappresentare ciò che fa ridere loro. A me invece interessa cosa fa ridere il pubblico. È chiaro che non deve farmi schifo quello che faccio, però è altrettanto evidente che devo avere sempre presente che mi riferisco a qualcuno. Per sottolineare quanto è sottile il filo tra tragedia e commedia, a me ha fatto molto ridere un film indiano di cui non ricordo il titolo, un film serio, di eroi, con un poliziotto eroico, un cattivo, una donna che soffre. Usava tutti i meccanismi del dramma americano, quindi le inquadrature che si velocizzano, questi che scappano con la jeep e lui che di corsa li raggiunge, però l'intenzione non era quella di fare ridere. A me ha fatto ridere tantissimo».
«Io ho un film nel cuore» racconta De Sica. «È Il segno di Venere di Dino Risi, scritto per Franca Valeri, con tantissimi attori: Peppino De Filippo, la Loren, Sordi, mio padre… È il mio film del cuore. Poi amo tutti i film in bianco e nero con Alberto Sordi, fino a Una vita difficile di Dino Risi. Mi hanno detto che ricordo molto Sordi: certo, chi devo copia'?!, ho copiato Sordi, mica Pippo Franco. Dicono anche che ho copiato mio padre: non l'ho copiato, quello è un fatto di Dna, gli assomiglio. Però, per quanto riguarda tutta la mia carriera di film nazional-popolari, ho pensato sempre a Sordi. Prima di morire Alberto mi ha detto: "Ah Chri, ogni volta che vedi la fotografia mia ce devi mette un moccoletto sopra e di' una preghiera: m'hai copiato tutto"».
Comedians è stato girato in sole quattro settimane, da fine agosto 2020. Il Covid aveva costretto Salvatores a fermare il progetto del suo nuovo film in costume Il ritorno di Casanova, con Sara Serraiocco, Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio, troppo complicato da organizzare in tempi di pandemia. Ma non voleva stare fermo e si sentiva responsabile per le persone con cui lavora. Per questo ha pensato a un film più contenuto nei personaggi e nei luoghi - Comedians si svolge quasi tutto in un'aula -, qualcosa che venisse dal teatro. Ma, anche quando le sale cinematografiche erano chiuse, non ha pensato mai di far uscire Comedians solo in piattaforma digitale.
«Con questo film credo che stiamo facendo un esperimento, che servirà anche per il futuro», afferma Salvatores. «Tra le sale e le piattaforme digitali bisogna trovare un accordo, perché lavorino insieme e bene. Si può fare. Prima di tutto bisogna fare degli accordi economici. Noi usciamo in sala, ma con la garanzia di uscire poi sulle piattaforme, indipendentemente dal risultato che otteniamo al boxoffice, vista la situazione molto difficile. Quindi con un buon lancio e una buona entrata economica. Però io non ho mai pensato a un film solo per le piattaforme. Ci vuole almeno un giro al cinema, per poi arrivare anche in piattaforma. Comedians in realtà può funzionare in piattaforma, ha la dimensione giusta, ma io amo la sala: la sala non morirà mai».
Immagine del film "Comedians" (Foto: 01 Distribution)