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Ansa
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Covid, tutte le accuse della Procura di Bergamo

Cosa è successo nei giorni drammatici dello scoppio della pandemia e cosa si sarebbe potuto fare per evitare migliaia di morti. L'inchiesta mette in fila accuse durissime verso Conte, Speranza, Fontana, Gallera e i tecnici che decisero le misure d'emergenza

Epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti di ufficio sono le accuse con cui la Procura di Bergamo ha chiuso l'inchiesta sulla gestione del Covid.
A tre anni di distanza dallo scoppio della pandemia che tra febbraio e aprile 2020, ha fatto registrare oltre 6 mila morti in più rispetto alla media dell'anno precedente, per la Procura c’erano tutti gli elementi per evitare la diffusione incontrollata del Covid che ha fatto strage nel bergamasco.

La notifica dell'avviso di chiusura è stata consegnata a 19 indagati. Tra questi figurano l'ex premier Giuseppe Conte, l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e l'ex assessore al Welfare Giulio Gallera.
Nell'atto ci sono anche il presidente dell'Istituto Superiore della Sanità, Silvio Brusaferro, l'allora capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, e il presidente dell'Istituto Superiore della Sanità, Franco Locatelli, Claudio D'Amario ex dg della prevenzione del ministero, Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico nella prima fase dell'emergenza.

Sono diversi i filoni dell'indagine: la repentina chiusura e riapertura dell'ospedale di Alzano, la mancata “zona rossa” in Val Seriana, l'assenza di un piano pandemico e la sottovalutazione della situazione da parte del Comitato tecnico scientifico. La diffusione del Covid per la Procura fu sottovalutata nonostante i dati a disposizione indicassero che la situazione a Bergamo stava precipitando, in particolare in Val Seriana.

Mancata adozione piano pandemico

La mancata adozione e il mancato aggiornamento dei protocolli già utilizzati nel 2002 e nel 2012 per contrastare prima la Sars e poi la Mers insieme al piano pandemico nazionale antinfluenzale avrebbero permesso la diffusione del virus .

Protocolli viaggiatori

L’ex capo della Protezione civile e il presidente dell’Istituto superiore di sanità, tra gli altri, sono accusati della mancata attuazione di protocolli di sorveglianza per i viaggiatori provenienti da aree affette con riguardo ai voli indiretti, limitando la sorveglianza solo ai voli diretti per l’Italia.

Nessuna censimento dei Dpi

La mancata verifica sulla dotazione di mascherine, guanti, sovrascarpe e tute per tutti gli operatori sanitari. «Inoltrando solo il 4 febbraio 2020 specifica richiesta alle Regioni, non provvedendo tempestivamente all’approvvigionamento alla luce dell’insufficienza delle scorte», nonostante il Piano Nazionale di Preparazione e risposta per una pandemia influenzale del 9 febbraio del 2006 raccomandasse già nella fase interpandemica «l’approvvigionamento di DPI per il personale sanitario, e il censimento di una riserva nazionale di antivirali, antibiotici, kit diagnostici altri supporti tecnici per un rapido impiego nella prima fase emergenziale».

Errate disposizioni

Le accuse continuano con le disposizioni ministeriali che avrebbero fatto perdere tempo e ridotto l’incisività nel contrasto alla pandemia, come l’iniziale indicazione a non eseguire i tamponi agli asintomatici, la mancata predisposizione di un modello informatico per consentire alle Regioni di inviare i dati sui positivi; i ritardi e i disservizi del numero verde centralizzato 1500, i ritardi nell’attivare una piattaforma per il caricamento dei dati finalizzati alla sorveglianza epidemiologica, utile a comprendere la crescita esponenziale del contagio.

Infine il Comitato Tecnico Scientifico non avrebbe tenuto conto delle proiezioni dell’Istituto Kessler di Trento, secondo il quale in Bergamasca il contagio era fuori controllo e si sarebbero dovute attivare misure di contenimento almeno a partire dal 26 febbraio con particolare riferimento è anche alla mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana, per la quale dovranno rispondere non solo Conte e il presidente Fontana ma anche diversi membri del Comitato tecnico scientifico come Agostino Mozzo, lo stesso Brusaferro, l’ex capo della prevenzione del Ministero della salute D’amario, l’ex segretario generale Ruocco e l’attuale responsabile delle malattie infettive Maraglino. Secondo l’ipotesi dei pm di Bergamo la zona rossa a Nembro e Alzano avrebbe potuto risparmiare migliaia di morti: se fosse stata istituita il 27 febbraio, le vittime in meno sarebbero state 4.148; al 3 marzo 2.659. Nella riunione del 26 febbraio il Comitato tecnico scientifico secondo gli atti ha ritenuto «non sussistenti le condizioni per l’estensione a ulteriori aree della Regione, nella zona della Val Seriana, tra i quali i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, della zona di contenimento già istituita in Lombardia dal DPCM DEL 23 febbraio».

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Linda Di Benedetto