Andrew Blackwell, 'Benvenuti a Chernobyl'
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Andrew Blackwell, 'Benvenuti a Chernobyl'

Gita al parco radioattivo, tour tossico degli idrocarburi, battuta di pesca alla plastica nel Pacifico, visita alla città di Blade Runner, crociera sui liquami nella piana indo-gangetica. Deve pur esistere una scorza di bellezza in ogni posto maltrattato del mondo.

Nella settimana del VI Festival della Letteratura di Viaggio (Roma, villa Celimontana e palazzo delle Esposizioni, 26-29 settembre), come sempre ricco di illustri scrittori-viaggiatori del calibro di Rumiz, Veronesi, La Cecla, Quilici, Cederna, Murgia, Di Paolo, ho scelto un convitato di pietra: il reporter e regista americano Andrew Blackwell, autore di una guida di viaggio come non era mai stata scritta. Benvenuti a Chernobyl è il racconto delle sue avventure nei luoghi più inquinati del pianeta. Un esperimento di ecoturismo all'incontrario, ma non solo.

Ammetto di aver iniziato questo libro con un certo scetticismo misto a preoccupazione (supera le trecento pagine), invece ne sono uscito pieno di nuovi interrogativi e scoperte – fra le altre, che il mondo dei paladini dell'ambiente è pieno di preconcetti esattamente come me – e, cosa non secondaria, mi sono divertito. Lo humour di Blackwell è contagioso e fitto di venature "noir", il suo gusto per i paradossi insaziabile e delizioso, la scrittura tremendamente accattivante. Benvenuti nella ridente Chernobyl dunque, è un attimo ribaltare le nostre aspettative.

Il villaggio fantasma di Pryp'jat', al centro di quella terra di nessuno attorno a Chernobyl (Zona di esclusione) che copre più di 2500 chilometri quadrati di Ucraina e Bielorussia, è la città più autenticamente post apocalittica del mondo. Blackwell vi si aggira dotato di un buffo rivelatore, in compagnia di un paio di guide che lo accompagnano in tour nel ventre del leggendario reattore-sarcofago. "Me l'ero immaginato in un altro modo questo momento" racconta. L'immensa astronave radioattiva poteva vantare un centro visite, un museo, una finestra panoramica.

Niente fotogrammi tipo The day after tomorrow, insomma, ma qualcosa di completamente diverso. Mentre il reattore, osceno monumento alla brutalità e alla paura, è destinato a rimanere per millenni un nido di matrioske al plutonio, nei dintorni si è formato un parco naturale radioattivo perversamente bello. Come se il disastro nucleare avesse innescato un fortuito esperimento di conservazione della natura, proprio grazie alle radiazioni. Il primo tour tossico offre materia per una riflessione che accompagnerà tutte le avventure di Blackwell: c'è un tipo di distruzione che porta la bellezza nella sua stessa arma?

"Quando la lama indiscriminata della scienza / sfregiò i cancelli del paradiso / allora capii che ne avevo abbastanza" cantava Neil Young in Thrasher (Trebbiatrice), una canzone meravigliosa che mi è venuta voglia di riascoltare. Era il 1979 e il rocker canadese metteva in poesia il lato oscuro del sogno americano: la grande Macchina era un avvoltoio che plana in discesa su un'autostrada d'asfalto. Oggi nell'ospitale, pacioso Canada Blackwell è andato a trovare le macchine più grandi del mondo. Altro che trebbiatrici. Sono gli escavatori delle sabbie bituminose, l'oro nero di questa nuova Arabia Saudita senza i sauditi: il Canada appunto. Fanno a pezzi la terra 365 giorni l'anno 24 ore al giorno, lasciando attorno a sé morte e bitume.

"Dove c'era un paradiso, ci hanno fatto un parcheggio", cantava nel 1970 l'altra musa canadese di quei tempi, Joni Mitchell, pioniera dell'eco-rock'n'roll. Quarant'anni dopo quasi ogni paradiso ha ceduto il passo ora a una miniera ora a una raffineria, un campo di soia, una diga. Una, mille città. Qualcosa dal fascino desolato che qualcuno potrebbe perfino definire bello. Ma, come spiega un attivista di Greenpeace intervistato dallo scrittore, anche un paesaggio lunare può essere bello... se siamo sulla Luna. Quaggiù le cose ti ricordano in continuazione quello che c'era prima. Per forza allora bello coincide con giusto?

L'ironia di Blackwell punge l'ambientalismo internazionale per la sua concezione dell'inquinamento "inquinata" dall'estetica e da un nucleo di misantropia: Chernobyl e l'Amazzonia tirano assai più del Guangdong cinese o dei sovraffollati sobborghi di Delhi, perfino più di Fukushima la cui potenza radioattivo-mediatica è stata abilmente spenta dal governo giapponese nel più breve tempo possibile. Posti ripugnanti come Linfen, Guiyu o Port Arthur, a cui l'Occidente ha appaltato il ciclo completo di produzione e inquinamento, pongono invece di fronte al quesito fondamentale: chi controlla davvero le risorse?

Il segreto fascino di questi reportage non risiede perciò nella tentazione voyeuristica (per quella potete rivolgervi ad agenzie come Disaster Tourism , operatore inglese specializzato in siti colpiti da catastrofi), quanto nelle avventure a contatto con i locali. Per catturare l'anima dei luoghi maltrattati Andrew Blackwell è disposto a scendere all'inferno. A salpare per il Pacifico su un brigantino di fortuna con gli attivisti del Progetto Kaisei , avanguardia estrema e improvvisata dell'ecoturismo. A sfidare le nebbie di Linfen, le promesse di cancro della città ricoperta da una patina di carbone. A imparare le tecniche di riciclaggio da un bimbo cinese sulla collina dei chip usati. A frequentare i sopravvissuti dell'Amazzonia, per vedere coi suoi occhi il tramonto dell'ex polmone verde invaso dalla soia e dalle motoseghe.

In India, marciando con i sadhu in una yatra (pellegrinaggio) di protesta per le sorti della Yamuna, mitico fiume trasformato in cloaca per soddisfare il fabbisogno d'acqua dei milioni di nuovi residenti di Delhi e Agra, Blackwell sperimenta il senso di una nuova coscienza ambientale che includa le persone senza struggersi per l'Eden. Il mondo è già finito, "con un gemito", come scrisse T.S Eliot. Ma al tempo stesso non è finito. Simbolo del mondo trasformato, la Yamuna fluisce per gli intestini di 16 milioni di persone e poi torna a scorrere avendo diluito feci dolore collera e offerte. Quei pionieri armati di campanelli erano fra i pochi "che facevano consapevolmente un pellegrinaggio verso un fiume pieno di merda".

Andrew Blackwell
Benvenuti a Chernobyl
Editori Laterza
pp. 330, 18 euro

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Michele Lauro