"La ferocia del cuore", il thriller masala di Anita Nair
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"La ferocia del cuore", il thriller masala di Anita Nair

Esce in contemporanea mondiale il nuovo romanzo dell'autrice di Cuccette per signora. Una avvincente detective story ambientata a Bangalore, la città in cui vive

Iniziamo dal vestito, per una volta. La copertina di questo libro, firmata per Guanda come sempre da Guido Scarabottolo, è splendida: colorata, ammiccante, ironica, in puro Indian style. Alzi la mano chi non si sente osservato dal primo, secondo e terzo occhio dell'adepto tantrico col turbante e la lingua di fuori. L'edizione originale Harper Collins è per contro più fredda e aderente al titolo inglese, Cut Like Wound, termine tecnico (autoptico) per indicare una ferita lineare da arma da taglio.

Traduzione eccellente di Francesca Diano, che a lungo si è documentata in loco per carpire i dettagli della storia intricata (il resoconto si trova sul suo blog ), non resta che il piacere di immergersi in La ferocia del cuore, un thriller psicologico davvero speciale se non altro perché è la prima variazione sul tema di una delle maggiori narratrici indiane contemporanee, Anita Nair.

Le vicende si svolgono nell'arco temporale di 40 giorni, tra l'inizio del Ramadan, la festa di Ganesh Chathurthi e la processione di St. Mary in un tripudio di vesti color zafferano. Tre eventi, tre diverse fedi religiose. Sarà un caso? Certamente no. È da qualche millennio che l'India assimila dei e usanze, rituali e profeti, cervelloni e manovalanza, filosofie e speranze, invasori e invasati, investitori e nullatenenti. Il più insondabile, complicato, tentacolare laboratorio socio-culturale del pianeta, l'India, cambia a grandi passi proteggendo il suo nocciolo, sul quale Anita Nair ci apre una finestra. Non sempre è bello da vedere.

Perfino Bangalore, stereotipo del rampantismo indiano e benevola/minacciosa "dea del Pil", sembra aver sacrificato le antiche usanze nella ruota del tempo. Ma tutto prima o poi ritorna, come ben sa il protagonista del romanzo Borei Gowda, ispettore di un distretto periferico a caccia di serial killer. Lui stesso, forse, si reincarnerà in altre storie della Nair, che si è divertita a sbozzare il tipo psicologico del detective panciuto, ex giocatore di basket, integerrimo e beone, geniale e frustrato. Alla soglia dei cinquanta - tra una carriera mai decollata, un figlio desaparecido, una vecchia fiamma che riappare - vede passare il classico ultimo treno.

Quaranta giorni appena in quasi quattrocento pagine. Nonostante l'incalzare efferato dei delitti, il plot narrativo si dispiega con una lentezza tutta indiana e deliziosa. Meticoloso fino all'ossessione (referti medici, autopsie, tecniche di strangolamento e i principi del Dharma poliziesco, la mafia, il traffico di denaro falso), prepara una suspance a fuoco moderato mentre tutt'intorno infuria la lotta degli opposti: superiori e sottoposti, bassifondi e high society, padre e figlio, moglie e amante, corrotti funzionari della pubblica amministrazione e isolati alfieri di un'etica discutibile.

Ma perché avere fretta? Mentre si dipana il giallo, Anita Nair ci racconta della sua India un mucchio di altre cose. Prendiamo Bangalore, che sta alla Ferocia del cuore come Mumbai stava a Narcopolis di Jeet Thayil. Una città fatta persona coi suoi odori suoni colori, ma soprattutto col suo ventre molle spudoratamente svelato. In entrambi i romanzi vi emerge la comunità di hijira, uomini dall'identità sessuale ambigua impropriamente chiamati eunuchi o transgender, che vestono al femminile e assumono comportamenti da donna. Sono uno dei misteri della società indiana, in cui rivestono un ruolo fin dall'antichità. Emarginati, costretti a prostituirsi o a mendicare, sono ritenuti di buon auspicio (per esempio a matrimoni o celebrazioni) in quanto personificazione terrena della doppia natura maschile-femminile. Che nel pantheon indù è incarnata da Shiva Ardhanarisvara, il "Signore metà donna".

Fra pregiudizi castali e gioventù bruciate, devozione alla shakti (l'energia divina femminile) e guru ermafroditi, riti tantrici e abusi sessuali, violenza e superstizione, segretamente la Bangalore hi-tech annega nei suoi bassifondi. Ma anche in superficie: "Che vita è quella di città, che ti impone di fare una scelta al minuto, ogni giorno?" Anita Nair non calca la mano, l'ironia e la vastità di dettagli l'aiutano a costruire un ritratto della sua terra sullo stile dell'ottocentesco pittore keralese Varma Raja Ravi, inglobato egli stesso nel romanzo con il riferimento visivo ai suoi dipinti immortali. Simile all'iconografia sincretistica dell'artista è la tecnica narrativa della Nair: fondere gli stimoli occidentali (compreso lo stesso popolare genere noir) con la tradizione spirituale e culturale indiana.

Un pizzico di curcuma qua, una spruzzata di curry là, La ferocia del cuore è un saporito masala. Come sempre nei romanzi di Anita Nair i riferimenti al cibo rivelano la sua passione per la cucina. Già a pagina 18 c'è una memorabile rassegna dello street food di Bangalore, dove le samosa fritte sfrigolano nei giganteschi recipienti colmi d'olio accanto a "pakora e jalebi, filze di margherite e di bozzoli di gelsomino, rifiuti in decomposizione e sterco di vacca". Dal sublime al grottesco, dall'attrazione alla repulsione, è solo questione di gusti.

Sopraffina indagatrice della condizione umana e delle sue (infinite) sfumature, Anita Nair mostra ancora una volta quanto - date le circostanze - può diventare feroce un cuore. Ma per fortuna l'ispettore Gowda, come nella tradizione dei suoi personaggi, conosce l'Arte di dimenticare . Lo ritroveremo.

La ferocia del cuore
di Anita Nair
Guanda
396 pagg, 18 euro

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Michele Lauro