Balanchine: Diamanti, Rubini e smeraldi trasformati in danza
Ufficio Stampa Teatro alla Scala
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Balanchine: Diamanti, Rubini e smeraldi trasformati in danza

Al Teatro alla Scala dal 9 marzo il trittico del grande coreografo russo che fece scuola al New York City Ballet. Tra gli interpreti Natalia Osipova e Natalia Osipova e Ivan Vasiliev

George Balanchine. Raccontarte la storia di uno dei più grandi coreografi del Novecento è come viaggiare veloci nel tempo: da quando da giovane suonava il pianoforte nei cinema per accompagnare i film muti sino all’esperienza di ballerino al Mariinskij di San Pietroburgo. E poi i Ballet Russes di Diaghilev (da cui fu licenziato e sostituito con Leonide Massine), la tradizione dell’Opera di Parigi e infine il periodo americano con il New York City Ballet, dove fonderà la sua scuola di danza. Un metodo il suo, pensato esclusivamente per plasmare i corpi di ballerini già professionisti alla purezza di linee che le sue coreografie neoclassiche, pulite e astratte richiedevano.
George Balanchine nasce nel 1904 a San Pietroburgo e nei suoi 82 anni di vita c’è la storia del balletto e della sua migrazione verso la danza contemporanea.

Insomma, una continua evoluzione la sua che lo portò a rivedere in continuazione una delle sue opere più famose: l’Apollon Musagète, nato ancora in seno ai Ballet Russes, quasi fosse un continuo work in progress.
Queste poche righe sul coreografo russo servono a introdurre il prossimo balletto in cartellone al Teatro alla Scala di Milano: si tratta di Jewels (“Gioielli”), in programma dal 9 marzo al 4 aprile con sei recite e stelle internazionali come Natalia Osipova e Ivan Vasiliev (Rubies),  Polina Semionova con Friedemann Vogel (Diamonds).

Di che cosa si tratta? Di un trittico coreografico rappresentato per la prima volta a New York nel 1967 e diviso nei capitoli “Smeraldi” “Rubini” e Diamanti”, la cui idea fu ispirata a Balanchine dalle vetrine dei grandi gioiellieri newyorkesi, in particolare Claude Arpels.

Per realizzarlo, il coreografo scelse musiche e autori che secondo lui rispecchiassero l’essenza di ogni gioiello (Gabriel Fauré, da Pelléas et Mélisande e da Shyloch per gli “Smeraldi”; il Capriccio per pianoforte e orchestra di Stravinskij per i “Rubini”; estratti dalla Sinfonia n.3 in re maggiore op.29 di Čajkovskij per i “Diamanti”) cercando di fondervi le sue esperienze nelle varie (e diverse) scuole di balletto internazionali: il Teatro Mariinskij (Russia imperiale) dove aveva fatto il suo apprendistato, l'Opéra di Parigi (balletto romantico) e il New York City Ballet (nuova classicità  emersa soprattutto dal lavoro con Stravinskij). Balanchine avrebbe anche voluto che fosse interpretato dalle tre compagnie riunite, ma questo non accadde mai. Anche se i solisti dei suddetti teatri interpretarono Jewels insieme in occasione di una serata organizzata al teatro di San Pietroburgo.

 
Gioielli non è un balletto con una struttura narrativa, bensì è danza pulita, astratta. Il modo giusto per “sentire” e “vedere” la gioia della geometria estetica di uno dei più prolifici coreografi del ‘900. Di Balanchine si contano infatti  oltre 425 coreografie per quanto riguarda il balletto, quindi incursioni anche nel musical, nel cinema e persino nel circo.
E per concludere, una curiosità: dal 1994 e fino al 2011 nel repertorio della Scala c’era solo Rubies, anche noto con il titolo di “Capriccio per piano di Balanchine. Solo a partire da tre anni fa dunque, è stato rappresentato il trittico completo.  

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Antonella Bersani

Amo la buona cucina, l’amore, il mirto, la danza, Milan Kundera, Pirandello e Calvino. Attendo un nuovo rinascimento italiano e intanto leggo, viaggio e scrivo: per Panorama, per Style e la Gazzetta dello Sport. Qui ho curato una rubrica dedicata al risparmio. E se si può scrivere sulla "rosea" senza sapere nulla di calcio a zona, tennis o Formula 1, allora – mi dico – tutto si può fare. Non è un caso allora se la mia rubrica su Panorama.it si ispira proprio al "voler fare", convinta che l’agire debba sempre venire prima del dire. Siamo in tanti in Italia a pensarla così: uomini, imprenditori, artisti e lavoratori. Al suo interno parlo di economia e imprese. Di storie pronte a ricordarci che, tra una pizza e un mandolino, un poeta un santo e un navigatore e i soliti luoghi comuni, restiamo comunque il secondo Paese manifatturiero d’Europa (Sì, ovvio, dietro alla Germania). Foto di Paolo Liaci

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