Banchieri: Federico Rampini racconta la crisi e i banditi che l’hanno causata
Il libro che smaschera i colpevoli della crisi finanziaria con cui facciamo i conti dal 2008
Chi sono i responsabili della crisi economica? Federico Rampini ha un’idea precisa: il colpevoli di tutto (o quasi) sono i banchieri, protagonisti del suo ultimo libro, che non a caso intitola Banchieri. Storie dal nuovo banditismo globale (Mondadori).
165 pagine di analisi spietata: un viaggio nel mondo delle banche e della finanza, per scoprire tutti i danni causati alla collettività da banche d’affari e manager del mondo della finanza, che l’autore non esita a definire “i grandi banditi del nostro tempo”.
Rampini non fa sconti a nessuno. Da una parte ci sono i banchieri responsabili di essersi assunti rischi enormi, sull’onda di un testosterone finanziario hanno distrutto con una speculazione selvaggia decenni di ininterrotta crescita economica.
Dall’altro lato ci sono i governi e le banche centrali che l’autore non stenta a definire Robin Hood alla rovescia: nessun governatore centrale ha pensato di punire severamente i banditi della finanza per gli sconsiderati rischi che si erano assunti, ma anzi, li hanno protetti intervenendo ogni volta per salvare le grandi banche d’investimento, secondo la politica del “too big too fail”, troppo grande per fallire.
Rampini nella crisi non nota differenze fra America ed Europa: da entrambe le sponde dell’Atlantico chi ha pagato le conseguenze della crisi sono i ceti medio-bassi, costretti a rinunce, sacrifici, doppi lavori, umiliazioni.
Il racconto avviene attraverso brevi e pungenti ritratti che inquadrano i colpevoli, i reati commessi, chi nonostante tutto li ha protetti, le vittime. Spesso i riferimenti sono filtrati attraverso ricordi personali: dall’insegnante di yoga che tiene lezioni alla Goldman Sachs ai racconti della moglie Stefania, ex trader a Wall Street.
Pagina dopo pagina cresce il risentimento del lettore e il disgusto per un modo spietato di agire che ha provocato diseguaglianza sociale e distrutto non solo benessere ma anche la dignità delle persone. Nel mondo dove sono i banditi a dettare legge non sono le banche d’investimento o gli speculatori a essere costretti al ridimensionamento, ma le famiglie e i consumatori, che devono tagliare le spese, fare due lavori per arrivare alla fine del mese, rinunciare all’università e perfino a una casa.
A nulla serve la beneficenza, che di tanto in tanto i banditi fanno per mondare le loro coscienze: inutile donare milioni di dollari alle università o sponsorizzare il restauro di un’ala del Metropolitan Museum. L’unica buona azione sarebbe solo smettere una volta per tutte di essere banditi.
L’antidoto alla crisi e l’unico modo per risanare i disastri compiuti dai banchieri è investire sui giovani, le start up, la green econonomy. E poi la ripresa delle lezioni di Keynes (con moderazione, anche un pizzico di Marx), per contrastare il pensiero liberista più feroce, che ha fatto della competizione sregolata un mito e l’unica via per il successo.
Dopo l'esperienza negativa della crisi da cui (prima o poi) usciremo tutti un po’ ammaccati, l’invito è quello a non rifiutare del tutto le leggi economiche del mondo. Non è rigettando il capitalismo in modo cieco e rabbioso che si eviterà di ripetere gli errori del passato. Anzi. L’unico modo per non ricardere in un’altra crisi è conoscere a fondo i meccanismi del sistema capitalista, imparare le leggi economiche che lo governano, conoscere le banche e la finanza, per muoversi consapevolmente fra loro.
"Se rinasco - confessa l’autore - in un’altra vita vorrei insegnare l’economia ai bambini. Perché crescano armati degli utensili giusti, perché nessuno li possa ingannare con il linguaggio dei tecnocrati”.
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