Le cause della prima guerra mondiale: 4 trappole
Uomini apparentemente ragionevoli ingabbiati da un "dilemma del prigioniero" al quale non sanno sfuggire. Risultato: una catastrofe da 10 milioni di morti
Il 4 agosto del 1914 si compiva l'inimmaginabile: a Liegi, in Belgio, la prima battaglia della prima guerra mondiale trasformava in ferro e fuoco le settimane di colloqui, trattative, minacce, ultimatum seguiti all'attentato di Sarajevo del 28 giugno.
Come fu possibile? Come si passò da un episodio compiuto da una gruppo di adolescenti esaltati - guidati certo da un'assurda idea nazionalistico tribale della storia e appoggiati e organizzati da una parte delle istituzioni serbe - a una serie di decisioni che scivolarono verso la guerra, prese da uomini maturi e con grandi responsabilità, consapevoli delle conseguenze catastrofiche di una guerra europea e, tutto sommato, ragionevoli?
Se lasciamo perdere, o meglio, se mettiamo tra parentesi alcune spiegazioni che scivolano un po' nel fatalismo o nella teleologia - per esempio che la guerra fu il risultato dello scontro degli imperialismi e che quindi fu inevitabile - e guardiamo da vicino la serie di eventi di quelle maledette cinque settimane fra il 28 giugno e il 4 agosto del 1914, ci si rende conto di come oltre alla forza del militarismo, alle spinte del nazionalismo e degli appetiti espansionistici che indubbiamente prepararono lo scenario, fu una una serie di fallimenti nelle relazioni diplomatiche e di trappole culturali e psicologiche che portò a quel risultato disastroso.
Jonathan Glover in Humanity, Storia morale del ventesimo secolo (Il Saggiatore, 2002, fuori catalogo) ha provato a sintetizzare questa corsa verso l'abisso. Il suo libro, pubblicato per la prima volta nel 1999 (una seconda edizione è del 2012), è una originale analisi storica del "secolo breve" attraverso le domande poste dall'etica (la più empirica possibile).
Nella crisi di luglio che ha portato alle mobilitazioni dei primi giorni di agosto del 1914, dice Glover, i leader che presero le decisioni restarono intrappolati nella guerra. Una guerra che la maggior parte di loro non voleva.
Vediamo quali furono queste trappole.
1) Confusione e malintesi, interpretazioni sbagliate delle rispettive comunicazioni, errori di valutazione delle mosse altrui
I governi erano confusi, i vari ministri e i sovrani dello stesso paese avevano obiettivi fra loro incoerenti, spesso differenti. Quasi nessuno voleva una guerra totale. I tedeschi per esempio si mossero sostenendo le pretese degli austriaci di ottenere riparazioni dalla Serbia, illudendosi che il conflitto sarebbe stato localizzato. E quando capirono che la Russia invece sarebbe intervenuta, dialogarono con gli inglesi nella convinzione che i francesi (e gli stessi inglesi) ne sarebbero rimasti fuori. E per la verità alcune delle comunicazioni fra il governo britannico e quello del Kaiser nelle ultime ore furono così ambigue e imprecise da giustificare alcune illusioni e zig zag dei tedeschi e soprattutto dell'imperatore Guglielmo II.
I russi d'altra parte agirono a sostegno della Serbia convinti che non sarebbe stato necessario arrivare alla guerra, perché davanti alla minaccia i tedeschi non sarebbero intervenuti, lasciando la partita all'alleato di Vienna che per parte sua non avrebbe osato muoversi da solo. I tedeschi invece interpretarono la mossa russa come quella che li mise con le spalle al muro "obbligandoli all'intervento" e tuttavia a loro parve un rischio calcolato perché sottovalutarono la possibilità di un intervento francese accanto all'alleato, anche contando su presunte assicurazioni ricevute dagli inglesi.
2) Le trappole militari: la mobilitazione
Glover però ci ricorda che - più a fondo - c'erano le trappole militari delle quali governi e vertici dell'esercito e della marina erano "prigionieri". Trappole che si erano preparati da soli, nell'ossessione di mettersi al sicuro dagli attacchi degli altri paesi.
Nel luglio del '14 le trappole delle "mobilitazioni generali" delle forze armate dimostrarono tutta la loro efficacia nel dirigere i governi verso la guerra.
Le mobilitazioni richiedono tempi tecnici, muovono milioni di uomini e di mezzi, impegnano le infrastrutture di trasporto. Se non le si avvia per tempo si rischia la sconfitta ancor prima di incominciare la guerra; e una volta avviata la macchina della mobilitazione era praticamente impossibile fermarle - almeno così dicevano gli stati maggiori - se non pregiudicando l'intero equilibrio di difesa. Lo storico inglese A.J.P Taylor è arrivato a sostenere, nel suo libro sulla grande guerra (The First World War: An Illustrated History), che furono i rigidi orari dei treni a causare la guerra.
La mobilitazione comportava in effetti il trasporto di masse di uomini usando la ferrovia (i russi avevano investito moltissimo negli anni immediatamente precedenti il 1914 per trasformare la rete ferroviaria in uno strumento strategico per l'esercito) su lunghe distanze: e solo mobilitandosi e partendo in anticipo si poteva avere la garanzia di un vantaggio e non rischiare invece di essere preceduti dai nemici.
È noto, per esempio, come il Kaiser Guglielmo II fosse stato tentato di trasformare la mobilitazione generale in mobilitazione "parziale" orientata solo a est, verso la Russia, per tenere fuori dalla guerra Francia e Inghilterra. Guglielmo si spinse a chiedere di interrompere l'invasione del Lussemburgo, il cui sistema ferroviario era indispensabile per la guerra alla Francia. Fu però la determinazione di Helmuth von Moltke, il capo di stato maggiore, e le sue ragioni sul pericolo di sguarnire il fronte occidentale e soprattutto di intralciare il piano Schlieffen (attaccare e sconfiggere in pochi giorni da Francia e poi attaccare la Russia) a prevalere: come dire, i piani e la logistica hanno la meglio sulle ragioni di opportunità e sul timore delle conseguenze della guerra.
3) Le trappole militari: le alleanze
Ancora più difficili da superare furono le trappole delle alleanze, che scatenarono l'effetto domino del coinvolgimento degli alleati, una volta che uno dei paesi dell'alleanza fosse entrato nel conflitto. Inoltre, in perfetto scenario hobbesiano, le alleanze, "difensive" per chi le stipulava, erano agli occhi dell'avversario un tentativo di "accerchiamento", diventavano aggressive. In alcuni circoli politici e militari tedeschi, il fatto che la Russia - il nemico che la Germania temeva di più - avesse stretto un patto di ferro con la Francia e con l'Inghilterra, indusse sia l'idea che la guerra sarebbe stata - prima o poi - inevitabile, perché l'aggressività russa andava in quel senso; sia che, quindi, sarebbe stato conveniente anticiparla, per arrivarci quando ancora il vantaggio militare sull'esercito e la marina dello Zar avrebbero garantito buone possibilità di vittoria.
Le alleanze nel 1914 furono l'esempio di catastrofico "dilemma del prigioniero" applicato ai governi: non volevano la guerra ma il perseguimento dell'interesse del singolo rese impossibile evitare il peggiore dei risultati collettivi.
4) Le trappole psicologiche
Ma, come ci ricorda Glover, le peggiori trappole furono quelle psicologiche. Le alleanze si rivelarono così rigide e i singoli obiettivi nazionali vennero perseguiti senza valutare i rischi di guerra perché, in fondo, c'erano convinzioni e attitudini mentali plasmate in profondo dal nazionalismo tribale.
Per questo la guerra era vista da una parte dell'opinione pubblica, persino da una parte consistente dei partiti socialisti, come strumento razionale per raggiungere i fini del paese o almeno come mezzo per difendersi dall'aggressività degli altri.
Anche una certa interpretazione aggressiva del darwinismo, in versione sociale, contribuì a plasmare questo clima, con una narrazione della storia come lotta dei popoli più forti per sottomettere i deboli. Unito a una vera idolatria per l'onore nazionale che doveva essere difeso a ogni costo, come molti dei protagonisti di quelle settimane prima dello scoppio della guerra ribadirono più volte con i comportamenti e le affermazioni.
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