Diana Vreeland, la rivoluzionaria del Ventesimo secolo
Quando infrangere la regola del bon ton può essere very stylish
“L’eleganza è innata, e non ha niente a che fare con l’essere ben vestiti”
Appassionata. Ecco come appare nell’immaginario degli estimatori questa grande donna che ha fatto la storia della moda e del giornalismo. Il suo indiscusso talento per la moda l’ha elevata a icona, leggenda. E le ha permesso di essere inserita nel 1965 nella "Lista internazionale delle donne meglio vestite”. Un titolo lontano anni luce dagli attuali premi per il peggior look mai sfoggiato sul red carpet.
“Non bisogna mai aver paura di essere volgari, solo di essere noiosi”
Diana Vreeland è tutto questo. Anche di più. E se siete all’oscuro del chi, del come e del perché, sfogliate il le sue memorie raccolte nel 1984 nell’autobiografia D.V. e riproposto oggi da Donzelli editore , In cui leggerete di come si sia fatta notare dalla direttrice dell’Harper’s Bazaar e di come sia entrata nella redazione con la folle rubrica “Why don’t you?” (Perché non… ti zippi nel tuo abito da sera? Tieni in mano un grande bouquet come se fosse una bacchetta magica? Indossi una bombetta? Metti fra i capelli una spilla giapponese? Acquisti un cappotto da sera trasparente? Oppure una toque di chiffon color geranio? O dei guanti di flanella chiara? O una blusa scura? Metti in mostra i tuoi averi in una borsa trasparente? Nascondi i tuoi fianchi in una giacca plissettata? Indossi dei cappelli di frutta? Magari con dell’uvetta? O con delle ciliegie? Oppure anche, Perché non... dipingi un planisfero nella stanza di tuo figlio così che non cresca con un punto di vista provinciale? O ancora il più famoso Perché non... lavate i capelli biondi di vostro figlio nello champagne per farli diventare dorati come fanno in Francia?). La sua straordinaria carriera in ascesa l’ha portata fino alla direzione di Vogue, che abbandonò nel 1971 perché licenziata improvvisamente (e pare brutalmente). Da allora in avanti, per diciassette anni, si è occupata della sezione costume del Metropolitan, curando mostre rimaste nella storia. Ma non solo.
Nel libro è possibile ritrovare il mondo elegante, esclusivo e brillante di Diana, un fashion-system ora indiscutibilmente e fascinosamente retrò, dove personaggi leggendari come Diaghilev , Buffalo Bill , Jackie Onassis , Clarke Gable , i duchi di Windsor , sono di casa, invitati ricorrenti del grande party della sua vita.
“Ho occhio per il colore: forse è il dono più eccezionale che possiedo. Il colore dipende totalmente dalla tonalità. Il verde, ad esempio, può essere quello del metrò, però se ottieni il verde giusto… Il rosso è il grande chiarificatore: brillante, purificatore e rivelatore. Non potrei mai stancarmi del rosso… Sarebbe come stancarsi della persona che ami. Per tutta la vita ho inseguito il rosso perfetto”
Nata a Parigi, la giovane Diana assiste ai cambiamenti in atto in quella città, cambiamenti culturali che si sono inevitabilmente ripercossi sulla gente, sulle abitudini e sui loro gusti. Sposa l’uomo della sua vita, il banchiere Thomas Reed Vreeland, ma non disdegna notti folli con gigolò e passi di tango che le affibiarono la reputazione di donna eccentrica. Tanto per non scendere nei particolari. Stravagante, ma di classe, aristocratica, ma non snob, indiscutibilmente geniale, Diana Vreeland ha fatto epoca perché è stata una delle poche ad essere riuscita ad imprimere attraverso le pagine di una rivista l’evoluzione di un’epoca di radicale cambiamento come gli anni 60. La sua vita è anche raccontata in Diana Vreeland: The Eye Has To Travel (frase tratta dal suo primo libro Allure) nel docu-film diretto da Lisa Immordino Vreeland e presentato in anteprima alla 68ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (edizione 2011).
“Il bikini è l’invenzione più importante dopo la bomba atomica”
Il libro.
Diana Vreeland racconta in queste pagine, con straordinaria verve e bruciante ironia, la sua incredibile vicenda umana e professionale, tra Parigi, Londra e New York. Diana ha sempre reinventato se stessa, e lo fa anche nella sua autobiografia, arditamente in bilico tra realtà e finzione. Dalle sontuose dimore londinesi alla Parigi degli anni trenta, dal jet-set newyorchese alle ribalte più esclusive del mondo, si susseguono gustosi aneddoti e incredibili situazioni condivise con la sua eclettica cerchia di amici, fatta di artisti e principi, star del cinema e icone pop: da Coco Chanel a Jack Nicholson, da Andy Warhol a Joséphine Baker. Dalla boutique di lingerie di cui era proprietaria, grazie al suo gusto innato per gli abiti e le stoffe, Diana si ritrova a pieno titolo nella redazione di Harper’s Bazaar: la direttrice, Carmel Snow, incantata dall’abito bianco con un tocco di rosso che Diana indossa una sera, le fa una proposta che non può rifiutare. E sarà un esordio folgorante: la rubrica Why Don’t You?, da lei stessa ideata nel 1936, riscuote un successo immediato. Ai lettori Diana dispensa sapientemente consigli pratici insieme a idee del tutto strambe, in un mélange originalissimo di estro e ingegno. Nel 1962, dopo quasi ventisei anni nella redazione di Harper’s Bazaar, Diana Vreeland passa saldamente al timone di Vogue, dove riesce a dare libero spazio alla sua inesauribile creatività e a dettare lo stile di un’intera epoca. Lo farà fino al 1971, quando la rivista decide di voltare pagina. Per Diana non è che un nuovo inizio: nel 1972, infatti, prende il via la sua collaborazione come consulente per il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art, per il quale curerà mostre indimenticabili. Da allora fino alla sua scomparsa, nel 1989, è stata la regina incontrastata dell’alta moda mondiale, e la sua vita è diventata leggenda.
La sua leggenda non è quella di un demonio che veste Prada ma di una imperatrice dello stile ispirata e ispiratrice.
D.V., Donzelli editore (2012)