I figli dei nazisti: storie degli eredi dei gerarchi del Terzo Reich
Pexels.com
Lifestyle

I figli dei nazisti: storie degli eredi dei gerarchi del Terzo Reich

Le storie di otto famiglie dell'élite nazista: da Himmler a Göring, da Bormann a Mengele

Le relazioni tra genitori e figli sono spesso complicate, soprattutto se il genitore in questione è un volto noto. Ma cosa vuol dire essere figli di quei criminali nazisti che sono rimasti fino all’ultimo fedeli a Hitler mentre intorno a loro il sogno malato di una Germania ariana cadeva in frantumi?
Da questa domanda nasce I figli dei nazisti (Bompiani 2017), saggio dell’avvocato penalista Tania Crasnianski che racconta le storie di otto famiglie di gerarchi nazisti, prima durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un’indagine volta a scoprire che genere di rapporti legavano figure come Himmler o Mengele alla loro famiglia e come questi legami abbiano influenzato la percezione del nazionalsocialismo dei figli.

Padre affettuoso o genitore distante

Un dato risulta lampante dopo aver letto il saggio di Crasnianski: le modalità con cui la figura paterna si rapporta con i figli sono determinanti nel successivo rigetto di questi per la cultura d’appartenenza o, al contrario, nell’adesione incondizionata all’ideologia nazista.
Nessuno tra i figli dei gerarchi nazisti è, durante l’infanzia, a conoscenza delle attività del padre. Figli di un’élite che non pativa i dolori della guerra, i principi ereditari del nazismo sono abituati a vivere in una prigione dorata, nei terreni bavaresi di Hitler o in case straripanti di preziosi e opere d’arte, spesso di proprietà di ebrei deportati nei campi di concentramento gestiti dai genitori.

Sono circondati da un clima profondamente antisemita, certo, e le loro lussuose dimore in Baviera sono spesso frequentate da detenuti di Dachau che vi lavorano come giardinieri, maniscalchi o sarti.  Tuttavia questi biondi figli del Reich non immaginano la realtà dei campi di concentramento né sono a conoscenza della soluzione finale, il sistematico processo di deportazione e sterminio della popolazione ebraica dei territori controllati dal Terzo Reich.

Nonostante la scoperta delle attività paterne all’indomani della sconfitta della Germania sia dunque brusca e improvvisa, quei figli profondamente amati e viziati dai genitori non hanno mai rinnegato la loro storia. Hanno anzi sviluppato un’idolatria morbosa della figura paterna, relegandosi in case museo e frequentando, da convinti negazionisti, le frange più estreme della destra xenofoba europea. È questo il caso di due figlie femmine, Gudrun Himmler e Edda Göring, estremamente viziate da bambine e legate da un rapporto molto affettuoso al padre e allo “zio Adolf”.

Al contrario, invece, i figli di quei nazisti che sono stati padri freddi e distanti e che li hanno privati di amore e calore famigliare, non hanno esitato a condannare le responsabilità dei genitori nella macchina della morte nazista. È il caso, per esempio, di Niklas Frank, figlio del “boia di Cracovia” e di Martin Adolf Bormann, figlio del segretario di Hitler.

Un’eredità complessa

Crasnianski accosta le esperienze di otto dei più feroci esponenti del Terzo Reich e quelle dei loro figli. In ritratti famigliari appassionanti e atroci al contempo, estremamente dettagliati e documentati, ripercorriamo l’ascesa politica di Göring, maresciallo del Reich, di Höss, comandante di Auschwitz la cui famiglia viveva appena al di là della recinzione del campo di sterminio, o ancora di Mengele, medico responsabile di spietati esperimenti di eugenetica.

Ma accanto alle figure dei padri ci sono sempre quelle dei figli, di cui Crasnianski segue il percorso di crescita, dalla tranquilla vita famigliare mentre il resto dell’Europa agonizza sotto i bombardamenti, alla povertà e all’emarginazione che sono seguite alla fine della guerra e al processo di denazificazione della Germania, a una vita adulta inevitabilmente traumatizzata, che sia nel ricordo ossessivo dell’idolo paterno o, al contrario, nella dolorosa e spesso altrettanto ossessiva distruzione della memoria famigliare.

La Germania, all’indomani della guerra, ha voglia di dimenticare un periodo di cui tutti si sentono, con maggiore o minore intensità, direttamente responsabili. Come racconta Crasnianski nella prefazione del libro, è la sua stessa madre, tedesca trasferitasi in Francia a soli vent’anni, a interrogarsi sulla necessità della figlia di riesumare tanti orrori.
Forse la risposta sta nel tempo e in quella generazione di nipoti e pronipoti che non avendo vissuto la barbarie nazista, non essendo stati costretti in giovane età a partecipare ad adunate e cerimonie, si sentono liberi dal peso dei ricordi. La loro è una memoria consapevole, che si sentono chiamati a tramandare nella speranza che il mondo apra gli occhi sugli effetti funesti di politiche dittatoriali e deportazioni di massa.

Tania Crasnianski
I figli dei nazisti
Bompiani, 2017
304 pp., 18 euro

I più letti

avatar-icon

Matilde Quarti