La vita segreta: tre storie vere dell'era digitale
Lo scrittore scozzese Andrew O'Hagan racconta le storie di Julian Assange, Satoshi Nakamoto, e di Ronnie Pinn, l'utente che non esiste.
Paranoia e indeterminatezza, sono i due termini che mi sembrano più adatti ad accompagnare il lettore durante tutta la lettura di La vita segreta (Adelphi, 2017), dello scrittore e giornalista scozzese Andrew O’Hagan. Come da sottotitolo, Tre storie vere dell’èra digitale, il libro si sviluppa in tre long-form, ambientati in momenti diversi della carriera dell’autore – che ne è narratore e protagonista – e accomunati dal medesimo argomento: le infinite possibilità che internet offre a chi vuole nascondersi nei suoi meandri, o al contrario creare identità e leggende.
La distorsione della realtà
Siamo stati abituati a interpretare la realtà come un prodotto distinto dalla cronaca: O’Hagan ci mostra che non è più così. I suoi protagonisti sono tutte persone che hanno creato la loro identità tramite la narrazione e, dunque, in misure diverse, tramite la finzione, tramite un’artificialità che invece di allontanarsi dalla realtà contribuisce in modo determinante alla sua costruzione, trasformando chiunque in narratore di se stesso.
Se da un lato questa situazione sembra relegare la letteratura all’obsolescenza (cosa si potrà mai inventare, se l’invenzione stessa è alla base delle nostre vite?), dall’altro rende manifesto quanto siamo tutti (con le dovute proporzioni, chiaramente), prigionieri di una rete che abbiamo accolto nella nostra quotidianità senza capirne le implicazioni più complesse.
Uomini con uno schermo
Il primo e il terzo racconto sono dedicati a due uomini che hanno utilizzato la rete per diffondere le loro idee, fino a diventare una sorta di leggenda, perseguitati dalla legge, osannati dal sottobosco ribelle, e conosciuti da chiunque abbia una connessione internet (o l’abitudine di comprare i quotidiani). Parliamo di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, e di Satoshi Nakamoto, inventore della blockchain, la tecnologia alla base del Bitcoin.
Assange, con cui O’Hagan ha vissuto a stretto contatto per scrivere da ghostwriter la sua autobiografia, viene presentato come una “tipica figura dell’Era di internet”. Di Assange emerge un ritratto sgradevole: tanto geniale quanto egocentrico e paranoico, capace di pontificare per tre ore consecutive e poi chiudersi a lavorare per altrettante ore in un silenzio interrotto solo da esclamazioni.
Craig Wright, invece, è la figura in carne ed ossa che, presumibilmente, si nasconde dietro il nome di Satoshi Nakamoto (Satoshi, ovvero cenere, un termine scelto sia come metafora del sistema da incendiare e ricostruire, sia ironicamente per il nome di un personaggio dei Pokémon, l’allenatore di Pikachu, che infatti nella traduzione a cui siamo abituati si chiama Ash). Su Wright O’Hagan ha indagato, sempre per scrivere un libro, a partire dalla fortunosa fuga dalle autorità australiane.
L’invenzione di Ronnie Pinn
Ma la storia sicuramente più disturbante è sicuramente la seconda nell’ordine del libro, quella di Ronnie Pinn. Ronnie non esiste, o meglio, esisteva: era un ragazzo della stessa età dell’autore, morto di eroina a vent’anni. O’Hagan ha utilizzato il suo certificato di nascita per creare un individuo esistente solo all’interno della rete, con un passato, un presente, degli interessi, e con cui ha esplorato i meandri del dark web.
Se le implicazioni etiche di usare un morto per fabbricarsi una nuova identità vi fanno inorridire, sappiate che O’Hagan non ha fatto nulla di nuovo: adoperare le identità di bambini morti (e senza informarne i familiari) per creare alias è una pratica iniziata negli anni Sessanta dalla polizia londinese e mai abbandonata. È da vertigini, la semplicità con cui si può non solo sviluppare una rete virtuale di legami, ma anche addentrarsi nel dark web, comprare documenti per forgiare ancora meglio le proprie credenziali fittizie e farsi dunque spedire droga e armi facendole recapitare all’indirizzo di una casa disabitata.
Rafforzare la presenza di Ronnie sul web, però, ha anche un risvolto inaspettato: Ronnie ha degli amici su Facebook, twitta, lascia la sua impronta su quotidiani e siti di e-commerce, ha un falso domicilio. A Ronnie, a un certo punto, viene assegnato un codice fiscale senza che O’Hagan abbia fatto nulla per muoversi in questa direzione, e comincia addirittura a ricevere, al suo indirizzo fasullo, delle realissime lettere del fisco.
Arrivati a questo, ci chiede La vita segreta, chi è il vero creatore e chi è il vero personaggio? E soprattutto, ha senso parlare ancora di “vero”?
Andrew O’Hagan
La vita segreta
Adelphi, 2017
222 pp, 22 euro