Breve storia del futuro
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Homo deus, Yuval Noah Harari

Una "breve storia del futuro", dalla sconfitta delle pestilenze al "datismo", che minaccia di rendere l'uomo obsoleto

Yuval Noah Harari è un giovane (rispetto agli standard accademici a cui siamo abituati) storico israeliano, che ha la capacità di fondere le sue ricerche su evoluzione, storia medievale e tecnologie militari in una riflessione di stampo antropologico-filosofico sui processi macrostorici che l’evoluzione umana ha innescato. Dopo il successo di Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Harari torna in libreria con Homo deus. Breve storia del futuro (Bompiani, 2017), lungo saggio in cui muove oltre la storia umana per andare a indagare le prospettive post-umane a cui le ricerche tecnologiche e genetiche dell’ultimo secolo ci hanno inevitabilmente condotti.

La Morte Nera non è un’astronave
L’uomo, fino a tempi molto recenti, si è sempre sentito minacciato dalla natura: il ricorso all’intervento delle grandi divinità altro non era che un modo per dare un senso ai fatti inspiegabili da cui si sentiva assediato. È il caso delle grandi pestilenze, che con regolarità hanno afflitto il genere umano. Una delle più celebri è sicuramente la Morte Nera, l’epidemia di peste del 1300 in cui morirono tra i 75 e i 200 milioni di persone. La più famosa ma non la più terribile: basti pensare alle epidemie portate dagli europei nei loro viaggi di esplorazione del globo. Dalle Americhe, all’Australia, alle isole del Pacifico, sono numerose le popolazioni cancellate dalle malattie del Vecchio Continente.

Oggi non è più così, e nonostante l’insorgere di malattie prima sconosciute, come l’Aids, l’Ebola, o la SARS, le morti sono molto contenute: grazie ai vaccini nel caso di infezioni già studiate, e grazie alle nuove ricerche e a tecnologie all’avanguardia nel caso di nuove epidemie. Come si muore allora nel XXI secolo? Per i paradossi della società occidentale è più semplice morire per patologie derivanti dalla sovra-nutrizione che per epidemie o carestie: i dati del 2014 ci raccontano di 2,1 miliardi di persone sovrappeso, contro 850 milioni di persone malnutrite. Ma l’uomo ha le conoscenze e le cieche aspirazioni per inventare cose peggiori di una catena di fast-foot: Harari sottolinea infatti come oggi ci sia la possibilità di produrre virus terribili in laboratorio. L’umanità, insomma, è perfettamente in grado di autoeliminarsi con una guerra batteriologica.

Il datismo: quando l’uomo diventa obsoleto
Harari studia il lungo percorso delle conoscenze umane e del potere dell’uomo sul mondo a partire dalle prime addomesticazioni animali, che nella loro evoluzione hanno completamente ignorato i bisogni ancestrali di maiali, mucche o polli, piegandoli unicamente alle necessità umane. Passa dunque al potere degli uomini sugli altri uomini, che si sviluppa grazie alla capacità di grandi potenze, come i regni faraonici dell’antico Egitto o le moderne potenze mondiali, di imporre narrazioni fino a renderle parte integrante della realtà.
Ma il capitolo più interessante è l’ultimo, dove Harari si concentra sul “datismo”, ovvero la riduzione delle esperienze umane a pattern di dati.

Secondo la visione datista, l’homo sapiens, evolutosi decine di migliaia di anni fa, non ha algoritmi attrezzati a gestire i flussi di dati di quest’ultimo secolo in cui stiamo vivendo. Harari prospetta dunque una rivoluzione datocentrica che, come l’umanesimo ha sostituito Dio con l’uomo, sostituirà all’uomo il dato. È una visionepericolosa, ci avverte però lo storico, perché potrebbe implicare l’eliminazione dell’esperienza umana (una passeggiata in montagna, una chiacchierata con un amico) in quanto inutile all’elaborazione di dati su se stessi: gli algoritmi di Facebook o Google, se in possesso della giusta quantità di informazioni, possono dirci molto di più di noi e molto più velocemente di qualsiasi riflessione.

Insomma, per Harari il datismo rischia di poter fare agli esseri umani ciò che loro stessi hanno fatto agli animali. Homo deus vuole dunque incitare il lettore a pensare criticamente al proprio futuro, immaginare strade possibili e orientare le proprie azioni in senso creativo. Adoperarsi, insomma, a costruire nuovi scenari perché nulla è davvero predeterminato.
Harari dunque conclude il suo saggio con una domanda, che spero si imprimerà il più a lungo possibile nella mente del lettore:

“Che cosa accadrà alla società, alla politica e alla vita quotidiana quando algoritmi non coscienti ma dotati di grande intelligenza ci conosceranno più a fondo di quanto noi conosciamo noi stessi?”.

Yuval Noah Harari
Homo deus. Breve storia del futuro
Bompiani, 2017
672 pp., 25 euro

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Matilde Quarti