Teoria della classe disagiata, saggio di Ventura
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Ventura, Teoria della classe disagiata

La storia di una generazione, quella dei trenta-quarantenni di oggi, nata borghese e destinata a perdere i propri privilegi sociali

“Noi non siamo stati preparati per questa vita agra, ma per un’altra meravigliosa. Il problema è che quella vita non esiste”. Bastano queste poche parole, riportate all’inizio dell’illuminante saggio di Raffaele Alberto Ventura, Teoria della classe disagiata (Minimum Fax, 2017), a chiarire il tema che verrà analizzato nelle successive duecentosessantadue pagine: la situazione senza via d’uscita in cui si trova un’intera generazione, quella dei trenta-quarantenni di oggi.

Dall'agio alla delusione

Citando la teoria della classe agiata di Thorstein Veblen, Ventura si addentra nella catena di cause – non colpe, perché quella della classe disagiata non è una teoria etica, bensì economica e sociale – che hanno condotto all’impasse odierna. Orde di semiprofessionisti culturali, con un’ottima educazione alle spalle e una serie di esperienze formative (che non chiamerò lavorative perché queste presuppongono un’adeguata retribuzione), che non riescono a posizionarsi nel mercato del lavoro al livello a cui vorrebbero le aspirazioni della loro classe sociale.

Il proletariato è morto, sostiene a torto qualcuno, ma le classi sociali stanno ancora benissimo, se non nella pratica almeno nell’illusione di una generazione nata borghese e con velleità cultural-artistiche irrealizzabili nell’attuale assetto economico. Per la prima volta, dalla fine della Seconda guerra mondiale, i figli non sono in grado di superare i padri, ma sono ridotti a lavorare a cottimo (ma si potrebbe obiettare che Bianciardi lo faceva già nel ’57) o gratuitamente per la produzione di contenuti la cui offerta supera la domanda, accettando di venire pagati in visibilità e ritrovandosi a fine mese a contare quanti like mancano per pagare la bolletta del gas.

Madame Bovary c'est moi

Ventura, sia chiaro, non si piange e non ci piange addosso: pur trattandosi di un “Madame Bovary c’est moi” venato di malinconia, l’autore riconosce che non ci sono eroi, in questa storia, e delinea la genesi dello stato attuale andando a interrogare Ibn Khaldun, primo teorizzatore dei ricorsi storici, Keynes, Marx e Bataille, tra gli altri. E portando come esempio una pletora di personaggi della letteratura e del teatro, che incarnano i nostri vizi e le nostre velleità, non soltanto nell’ottocento dei Buddenbrook, ma risalendo fino al prestito che Shakespeare fa chiedere da Antonio all’usuraio Shylock.

Nell’attuale industria culturale, in cui i prodotti di massa si sposano gioiosamente con quelli di nicchia (che, in ogni caso, portano generalmente profitto alle stesse major) si è andata via via formando una figura ibrida tra il consumatore e il produttore, il prosumer, che fruisce e produce al tempo stesso. Per darne un esempio semplice: è quello che facciamo tutti sui social, fruendo contenuti e producendone di nuovi che non andranno ad arricchire noi ma la piattaforma su cui ci appoggiamo.

Una generazione risentita

Un turbine discendente in cui la competenza non corrisponde più al guadagno e chi non può investire, per ragioni economiche e famigliari, nel proprio tempo è destinato a cedere il passo a chi ha alle spalle una situazione più sicura. Un esercito di uomini e donne “del risentimento” – perché solo chi cresce con l’idea di una posizione sociale da cui poi si trova defraudata può esserlo –, di non ancora adulti e non più ragazzi cristallizzati in una tardoadolescenza professionale e destinati a farsi una guerra che non avrà altro esito se non lo sperpero di ulteriori risorse economiche.

E alla fine? Ventura non dà soluzioni e consegna il testimone alla prossima generazione, che sarà più arrabbiata, ma anche più disillusa e forte di questa disillusione saprà – forse – riprendere il ruolo professionale che le spetta. Per quanto riguarda noi, non c’è nulla di più da dire, ci siamo ritrovati in una canzone dei Cani.

Raffaele Alberto Ventura
Teoria della classe disagiata
minimum fax, 2017
262 pp, 16 euro

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Matilde Quarti