Moreno Montanari, "La filosofia come cura"
Altro che disciplina essenzialmente astratta e contemplativa, il professore introduce il lettore a un sapere situato all'incrocio tra Occidente e Oriente. Dove la filosofia è, per tutti, pratica di vita
A chi, a cosa serve la filosofia? È una domanda essenziale, non solo per i numerosi ragazzi della scuola secondaria che si apprestano ad affrontare una materia ancora misteriosa. Aristotele, Platone, Cartesio, Pascal, Kant. E poi Hegel, Nietzsche, Heidegger, Kierkegaard. Posti di fronte alle grandi questioni dell'esistenza - paura, ignoranza, angoscia, scelta - ma anche alle piccole incombenze del quotidiano, come possiamo noi, proprio noi, trarre giovamento dalla lezione dei grandi pensatori?
All'interrogativo prova a rispondere il professor Moreno Montanari, dottore di ricerca, consulente filosofico e membro di Phronesis, Associazione italiana per le pratiche filosofiche. Con un libro dal titolo programmatico, pubblicato da Mursia nella collana diretta da Duccio Demetrio: La filosofia come cura. Fuori dalle aule accademiche e dai salotti televisivi, fuori dai percorsi speculativi, dalle verità oggettive e dagli imperativi categorici, Montanari segue quel filo rosso nella storia del sapere che da Epicuro a Foucault, passando per gli esistenzialisti e i fondatori della psicanalisi e abbeverandosi all'immenso bacino delle filosofie orientali, insegna al soggetto a impostare le premesse per una vita più autentica.
Nella sua matrice originaria (si veda il verbo inglese to care) la parola cura non ha niente a che fare con la medicina, che nel tempo ha "cannibalizzato" il concetto. Parte da qui la riflessione di Montanari: all'interno di una prospettiva olistica la filosofia più che alla conoscenza mira alla formazione, cioè a rendere possibile un certo tipo di azione che migliora colui che agisce. All'opposto della medicina occidentale, fondata su un'interpretazione meccanicistico-biologica della salute secondo cui il male è qualcosa da rimuovere con una pratica rapida e indolore basata su una terapia "esterna" al soggetto, la filosofia come cura rivaluta la domanda sul senso e sulla responsabilità. Al centro sta l'individuo, con il suo mondo di significati, affetti, relazioni.
Non sono le cose a turbare gli uomini ma semmai i giudizi su di esse, diceva Epitteto già nel I secolo. La coscienza si illude di fuggire qualcosa di esterno mentre in realtà fugge solo se stessa, la propria inquietudine, recita un classico motto del buddhismo zen. Fin dall'antichità il percorso verso l'eudaimonia, quella forma di felicità (l'unica possibile?) che esclude il desiderio dal proprio orizzonte e si realizza nel saper vivere in armonia con le proprie potenzialità (che a loro volta dipendono dalla nostra capacità di prendercene cura), vede Occidente e Oriente camminare su un sentiero comune.
La cura filosofica guarda a una pratica fondamentale del pensiero orientale, la meditazione come percorso verso il distacco. Per il buddhismo e l'induismo la meditazione è lo strumento chiave della cura, da usare nella vita di tutti i giorni. Non esclude il negativo ma lo incorpora come forza motrice e parte irrinunciabile della vita. Ecco il profondo segreto che unisce le due grandi storie del pensiero: le nostre difficoltà e resistenze "non sono ciò che ostacola il sentiero, ma costituiscono esse stesse il sentiero".
Montanari propone questa visione sincretistica in un momento storico delicatissimo, che vede l'uomo esposto a richieste sociali (di iniziativa, capacità, performance, adeguatezza, rapido problem solving, assunzione di responsabilità) in continuo aumento. Cos'è in fondo la modernità se non questo sfondo di possibilità di scelte così ampliato da condurre al corto circuito di una indecisione permanente? Angoscia, Kierkegaard lo aveva profetizzato quasi due secoli fa, è la tonalità emotiva dell'esistenza. Che si traduce nella malattia del vivere, la malattia del nostro tempo: depressione.
Fondamentale è la ricostruzione del concetto di tempo, banalizzato nella nostra società a una irreversibile, vuota corsa verso il "grande rimosso", la morte. Nel solco di Heidegger, nume tutelare dell'esistenzialismo, e della sua eretica allieva Hannah Arendt che si impegnò per tutta la vita a trovare applicazioni di quel vivere autentico che il maestro teorizzava in senso ontologico, l'approccio pratico alla filosofia come cura invita a non subire passivamente gli accadimenti del tempo. E a riflettere sulla morte come concetto non in antitesi alla vita: perché ogni fine è un inizio, secondo una celebre espressione di Waldo Emerson ripresa da Tiziano Terzani al termine del suo percorso di ricerca, nel libro postumo La fine è il mio inizio .
Progetto, motivazione, iniziativa, intraprendenza sono le nuove parole chiave per l'autonomia del soggetto. La cui dignità più profonda risiede, come già sapeva Pico della Mirandola, nel diventare ciò che è, ciò che liberamente decide di voler essere. È un percorso impegnativo ma necessario, come ha sintetizzato il sociologo francese Alain Ehrenberg, studioso della società del disagio, in un saggio dal titolo particolarmente azzeccato: La fatica di essere se stessi.
Moreno Montanari
La filosofia come cura
Mursia