Zagrebelsky: come non innamorarsi della cultura
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Zagrebelsky: come non innamorarsi della cultura

Il giurista ha scritto un libro per chiarire il ruolo degli intellettuali. Peccato che la sua lettura serva solo a confonderli.

Stanotte ho fatto un sogno: Gustavo Zagrebelsky scriveva un libro sull’amore. Si chiamava Fondata sull’amore. Lo scriveva, come sempre fa, per una buona causa: che tutti capissero che cos’è l’amore. Ne avevano sempre sentito parlare e fors’anche lo praticavano, ma non se lo erano mai spiegato. Il libro, nel sogno, era bello e balzava, come solo i libri intelligenti balzano, in testa a tutte le classifiche. I lettori lo leggevano ed erano felici. Finché, magia, succedeva una cosa terribile: nessuno di questi lettori si innamorava più. Tristi e afasici, si trascinavano ripetendosi le parole di Zagrebelsky mentre il cuore si raffreddava.

Poi, è suonata la sveglia. Il sogno dev’essere causa del nuovo pamphlet di Zagrebelsky, Fondata sulla cultura (Einaudi), che prosegue, dopo Fondata sul lavoro, l’analisi dei principi della Costituzione. Qui, il professore ha agio di movimento dialettico quanto sull’amore: cultura è un concetto così galattico che necessiterebbe di notti seduti sul muretto a discutere per ore. Zagrebelsky lo liquida in 100 paginette.

Non pago, si espande su concetti altrettanto oceanici come idea, libertà, felicità. Il problema, coi concetti infiniti, è il fascino indiscreto della tautologia: un libro che spiega di che cosa parliamo quando parliamo di cultura si riduce a un libro che parla di che cosa parliamo quando parliamo di cultura senza spiegare alcunché. Perciò una volta che lo si è chiuso ci si ritrova così confusi che si ha solo voglia di parlare d’altro.

"Le idee contribuiscono alla felicità?", "Vox populi, vox dei?", "Consiglieri e consulenti vanno benissimo se non diventano prostituti": in uno stile fra il parabolare e il marzulliano, il professore puntualizza funzioni e doveri dell’intellettuale e del politico di fronte al magma caotico contemporaneo. Come attuare il vasto programma? Ecco un paio di enunciati di base: "Non c’è l’essere umano o il cittadino. Ci sono le madri e i padri; le coppie e i singoli; i ricchi e gli indigenti" eccetera, fino agli esodati e agli anziani non autosufficienti.

E che si fa di fronte a questa novità assoluta? "Come può la politica tenere insieme tutto questo?" è il grido di allarme di Zagrebelsky appena saputo che, a peggiorare la frammentazione, esistono "persino" due associazioni di categoria delle acque minerali. Chiaro: bisogna "ridare la vista alla politica", "ricominciare a parlare di idee generali". O ancora, a proposito dell’annosa questione digitale contro reale: mollare il colpo sui dilemmi "book contra chat" e "chat pro book". Riflettere invece su un’altra novità assoluta: la cultura è un fatto di durata e di profondità. Capito questo, sarà facile scegliere fra "chiacchiera digitale dispersiva" e "lettura riflessiva e costruttiva di senso, cioè il libro". Ora, a parte l’inveterata confusione fra mezzo e messaggio, nessuno riveli al professore che esistono libri dispersivi e chat riflessive e costruttive (magari in cui si dibatte di cultura): pena, il pamphlet Fondata sul 2.0.

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Stefania Vitulli