Paolo di Paolo, 'Tempo senza scelte'
In un dialogo aperto fra le generazioni, un ritratto dell'umanità proiettato nel presente
«Dicono che c'è un tempo per seminare / e uno che hai voglia ad aspettare / un tempo sognato che viene di notte / e un altro di giorno teso come un lino a sventolare». Come Ivano Fossati cercò appassionatamente di fermare il tempo nei versi di quel suo inno, così Paolo Di Paolo ha catturato un frame del nostro tempo nella prosa di un saggio orecchiabile come una canzone: Tempo senza scelte. Si legge d'un fiato, magari nel tempo breve (e scelto) di un viaggio in treno. Ci siamo dentro tutti, noi e le nostre inquietudini. Noi e il nostro tempo, quello dei nostri figli e nipoti. Il tempo che stiamo attraversando. Adesso.
Questa meditazione sulla contemporaneità segna per lo scrittore romano il culmine di un percorso di rara coerenza. Forse per non trovarsi un domani a chiedere ancora Dove eravate tutti, come fece nel romanzo che gli diede notorietà, in ogni storia che ha raccontato fin qui (e sono tante, distribuite tra romanzi, saggi, articoli, racconti, sceneggiature) Paolo Di Paolo interroga la memoria collettiva, stimolando un confronto generazionale. Se è vero che per molti artisti e scrittori sono le idee fisse il carburante della materia creativa, l'ossessione di Paolo Di Paolo è quella di sognare la storia. E di riscriverla restituendo agli eventi l'interiorità, il sentimento, l'individualità, quella componente affettiva che è stata espunta dai documenti ufficiali. Come in Istruzioni per non morire in pace, testo teatrale rivoluzionario in cui fa vibrare di passioni un'umanità affacciata al precipizio della prima guerra mondiale (il "mondo senza sonno" di Stefan Zweig, estate 1914).
Il Tempo senza scelte ci proietta in un presente disperatamente bisognoso di trovare àncore nel passato. "Trova la tua verità": a ripensarci oggi l'Aut Aut di Soren Kierkegaard costituisce ancora la matrice della coscienza inquieta dell'uomo contemporaneo. Ma “become yourself”, diventa te stesso, è stato poi anche il refrain della generazione che nel dopoguerra ha lottato per un mondo più libero e giusto e nonviolento. Così cantavano Crosby Stills Nash & Young in Teach your Children, l'immortale classico di inizio Settanta, oscillando fra esistenzialismo e antimilitarismo: dove il disagio dei padri (la seconda guerra mondiale) era almeno pari a quello dei figli (il Vietnam). "Il fronte della vita cosiddetta pubblica era stato" precisa Di Paolo, "per tre generazioni, quello bellico; sulla vita privata ne piombavano le macerie".
E oggi? Oggi i figli dei figli cresciuti in Occidente dentro il racconto di un tempo di pace - una pace che intanto si è fatta sempre più opaca, sfuggente, instabile, fasulla - sembrano imprigionati in quello stato di indecisione permanente da cui prese le mosse l'angoscia kierkegaardiana. La provocazione di Andrea Appino, che nell'ultimo album degli Zen Circus invoca una Terza guerra mondiale "per capire chi è il nemico / per guardarlo dritto in viso", fotografa come un'allucinazione il disagio del tempo senza scelte. Insieme a molte altre cose, la fine delle ideologie e la moltiplicazione delle tribune (e dei tribunali) hanno alleggerito il peso delle scelte svuotandole di ogni urgenza, lasciandoci in balia della paura, dell'indifferenza e del narcisismo digitale di massa.
Se la scelta è decisiva per il contenuto della personalità, l'adolescenza non si realizza mai in un vuoto sociale. Anzi come sosteneva Peter Blos, grande studioso dell'età evolutiva, la società dà sempre alla generazione che si affaccia al mondo un'impronta unica e decisiva, capace di completare e addirittura di ribaltare le influenze formative della famiglia. Il passaggio dalla protezione familiare alla protezione sociale, che è di carattere impersonale, rappresenta infatti una fase cruciale per la crescita e la formazione dell'identità. Il corso riuscito dell'adolescenza dipende intrinsecamente dal grado di integrità e coesione delle strutture sociali. Se questa viene a mancare, la maturazione alla vita rischia uno stallo, il cosiddetto vuoto generazionale: un deficit evolutivo che segue all'evitamento doloroso e tortuoso del conflitto generazionale.
Così Di Paolo va alla ricerca degli esempi dei maestri. Filosofi, intellettuali, scrittori. Scrutatori e scuotitori della coscienza individuale e sociale, come Walter Benjamin e Hannah Arendt, Luigi Pirandello e Antonio Tabucchi, Albert Camus e Philip Roth, Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino e i tanti riportati nella corposa bibliografia finale. Spiccano le scelte eroiche di "giovani temerari" come Piero Gobetti ("vivere vuol dire formarsi una coscienza morale"), Renato Serra ("l'abitare sempre e solo nella possibilità: anche quella del fallimento"), Federico Garcia Lorca ("La vita non è sogno. Sveglia!"), Hans e Sophie Scholl ("Uno spirito forte, un cuore tenero"), ma anche di artisti controcorrente più vicini a noi come lo Zerocalcare di Kobane Calling (in Siria "contro i pregiudizi degli sciacalli nostrani").
Insomma la scelta è un archetipo universale che investe con la sua ineludibilità - o procrastinazione - la vita privata e quella pubblica, la crescita dell'individuo e l'evoluzione della società, l'etica e l'estetica, il senso di responsabilità individuale e collettiva e perfino un valore dato per scontato come la pietà. L'intellettuale non può, diceva già lo scrittore svedese Stig Dagerman, non porsi il problema del prendere posizione. Di Paolo non si sottrae, nell'ultima parte del libro dove anche il linguaggio cresce di tono e diventa più caustico e diretto. "Per paura di essere diventati sentimentali, siamo diventati stronzi". E invece no, esiste un altrove a cui guardare, per esempio agli scrittori che hanno deciso di prendere di petto il proprio tempo, non rassegnandosi a una "ininfluenza che somiglierebbe a un alibi". Da David Grossmann a Don de Lillo, a Hertha Müller, Orhan Pamuk...
La mitezza delle parole combattenti. In questo ossimoro che si richiama alla lezione di George Saunders ("cercate le medicine più efficaci contro l'egoismo") e alla lezione di Norberto Bobbio, Paolo Di Paolo ha trovato un imperativo categorico alla portata di tutti, aprendo a una morale senza moralismi. "Purché sia visto come un mondo trasformabile", diceva Brecht benedicendo l'unica forma di arte che gli sembrava praticabile in un'epoca drammatica. Ecco allo stesso modo, senza strillare ma con le armi gentili della ragione e della consapevolezza, questo libro ribalta il Tempo senza scelte nel suo raffinato palindromo, mostrandoci una serie di scelte senza tempo. Un'opportunità da seguire.
Paolo di Paolo
Tempo senza scelte
Einaudi
110 pp., 12 euro