Stephen King: "Ecco come inizio i miei romanzi"
Il re del brivido spiega l’importanza del giusto attacco nei libri, tanto per il lettore quanto per lo scrittore
In un romanzo, una buona parte del lavoro di “cattura ” del lettore arriva dalle prime righe. Talvolta addirittura dalla prima frase. Questa tesi è facilmente condivisibile, ma lo è ancora di più se a sostenerla è nientemeno che Stephen King, il quale, in un’intervista al magazine statunitense Atlantic , ha spiegato proprio l’importanza del giusto incipit.
Innanzitutto, secondo il maestro, perché una frase di apertura sia davvero buona e quindi riesca a convincere il lettore a iniziare la storia, è necessario che sappia esprimere una “voce”.
“La voce di un romanzo”, spiega King, “è qualcosa di simile a quella di un cantante, come Mick Jagger o Bob Dylan”. Si tratta di una qualità distintiva, unica e riconoscibile immediatamente, che va a braccetto con lo stile (che è invece un elemento riferibile più all’autore).
“Nei libri davvero buoni”, continua, “il potente senso di questa voce si percepisce proprio dalla prima riga”. L’esempio che porta è tratto da Shoot, un romanzo del 1973 di Douglas Fairbairn, che inizia così:
“This is what happened.”
È questa secondo King la quintessenza degli attacchi, la frase di apertura per eccellenza, chiara, pulita, affidabile: “Stabilisce fin da subito con che genere di narratore abbiamo a che fare: qualcuno disposto a parlare, a dire la verità”.
Nonostante la semplicità, una proposizione come “This is what happened” invita il lettore a seguire la voce. “Sembra che dica: ascolta. Vieni qui. So che lo vuoi sapere”. E spesso è per questo che si legge, perché si vuol conoscere altri mondi, altri punti di vista.
Ma l’attacco esatto è importante anche per lo stesso scrittore, che ha bisogno della porta giusta che lo introduca al meglio nella trama, nell’anima della storia che vuole raccontare.
“Quando comincio un libro provo a scrivere il primo paragrafo. Un paragrafo di apertura. E in un periodo di settimane e mesi, talvolta anni, lo riformulo più e più volte finché non mi convince. Solo allora so che posso fare il resto del lavoro.”
È per questo che Stephen King ricorda a memoria praticamente ogni frase di apertura dei suoi romanzi. Come quella che il maestro considera la sua meglio riuscita, in Cose preziose (Sperling & Kupfer): “You've been here before.”
Questi 20 caratteri, disposti da soli in una pagina intera, convincono il lettore a continuare. Suggeriscono una storia familiare, ma, allo stesso tempo, la singolare presentazione porta fuori dal regno dell’ordinario.
In Doctor Sleep , l’attesissimo sequel di Shining, King ha invece usato un approccio più tecnico e meno elegante (secondo lui):
“On the second day of December, in a year when a Georgia peanut farmer was doing business in the White House, one of Colorado's great resort hotels burned to the ground”.
Questa breve introduzione ci dice in che siamo negli Stati Uniti degli anni Settanta, sotto l’amministrazione Carter (“a Georgia peanut farmer was doing business in the White House”) e, soprattutto, getta un ponte verso il libro precedente, con l’immagine dell’Overlook Hotel in fiamme.
Importantissimo quindi l’attacco, ma non costituisce ovviamente l’unico elemento fondamentale di un buon romanzo. Stephen King conclude infatti la sua riflessione in questo modo: “Non si crea una carriera di scrittore basandosi sulle prime righe. La storia deve essere presente, è lei il vero lavoro”.