Viaggio al centro di Lorenzo Lotto
Il pittore rinascimentale è il perno dell'ultimo libro di Lucia Tancredi: un romanzo in cui l'autrice insegue l'artista negli spostamenti in Italia
Costruire un’operazione letteraria su Lorenzo Lotto è forse più facile che su un altro pittore. È quello che ha voluto dimostrare Lucia Tancredi con il suo L’otto, edito da Ev, con grande naturalezza e senza pompa (ma, ahimè, anche senza immagini): un libro urgente, inevitabile. Almeno per l’autrice, che non poteva non scriverlo in uno stato di doppio «transfert», con Lorenzo Lotto e con Bernard Berenson. Il soggetto è accattivante: nessuno, se non forse Pontormo che, come Lotto, ci ha lasciato un singolare diario, sembra più adatto a sottoporsi a una seduta psicanalitica, estrema evoluzione del sacramento della confessione, oltre i confini del peccato ed entro la riflessione sulla natura degli uomini e, in particolare, sulla propria.
Trancredi procede su binari paralleli: s’immedesima in Lorenzo Lotto e anche nel suo sensibilissimo inseguitore, Bernard Berenson; e non racconta la vita del pittore, come non ne descrive le opere, ma ne ricostruisce gli stati psicologici in relazione al mondo, alle persone, ai committenti, agli amici, mostrandone una così affine personalità da sembrare che ne conosca e ne condivida i pensieri. Parallelamente fa con Berenson che è sulle tracce del pittore, avendone intuito la grandezza ma con la distanza di chi è più vicino a Oscar Wilde o a D’Annunzio: "Succede, quando passano gli anni, che ci accorgiamo come le persone che abbiamo più amato sono quelle a cui non abbiamo perdonato un difetto, a cui non abbiamo concesso l’indulgenza di farli essere quello che erano.
Berenson riflette: a Lotto non ha perdonato di non essere un uomo volitivo e intero come Tiziano, elegantissimo e pieno di tepore amoroso come Correggio, fluido e lirico come Bellini, misterioso e carismatico come Giorgione...
Berenson non perdona a Lotto di essere uno che struscia i piedi per le strade di periferia, sempre povero come un trovatello, ringraziando il buon Dio di tanta umiliazione. Lui è diverso, si è attrezzato per vivere alla grande. L’aveva promesso tacitamente a suo padre, a tutta la sua razza di ebrei poveri e sbandati per le strade polverose d’Europa".
Le ragioni per cui Lucia Tancredi ama Lotto sono le stesse per cui il suo Berenson lo mette in discussione. Da questa dialettica a distanza esce un libro intenso, che fa parlare le opere e le legge dentro come testimoni fedeli di pensieri e umori. Dalla Crocefissione di Monte san Giusto esce un ritratto animato del vescovo Bonafede committente, con i suoi desideri, le sue debolezze, i suoi amori, in un flusso narrativo veloce come il pensiero, e che è il pensiero che Lotto ha di lui, non una riflessione critica.
D’altronde anche la prima moderna lettura del Berenson non è semplicemente una critica, è un innamoramento, un inseguimento persino strano per uno che aveva prodotto elenchi, tanto precisi quanto aridi, dei pittori del Rinascimento. A Lotto dedica invece un volume, quasi un romanzo d’amore. È interessato alla sua anima, alla sua fragilità, ai suoi turbamenti. Lucia Tancredi va oltre: intercetta ogni suo pensiero, ogni sospiro. E ci sembra di accompagnarlo, di esser con lui a Treviso, Trescore, Venezia, Recanati, Jesi, Cingoli: dentro la sua testa, tra soddisfazioni e lamenti. Un labirinto di pensieri che ci restituisce un’anima.