Dante come luce nella selva oscura del nostro tempo
A 700 anni dalla morte del Sommo poeta, il suo nome è evocato da tutti. Ma per tornare a Dante occorre farloin maniera integrale. Senza tirarlo per la giacchetta.
In vista del giorno dedicato al Sommo Poeta si moltiplicano omaggi e citazioni, soprattutto quest'anno, a 700 anni dalla scomparsa. Attenzione però a non renderlo un fenomeno pop e allontanarsi così dall'insegnamento ancora attuale e dalla traccia lasciata proprio da Dante alla caccia di like e guadagni con il suo nome.
«Altri ne hanno fatto un monumento, per dimenticare un po' più in fretta». Così Francesco De Gregori gela ogni tipo di riconoscenza per gli omaggi, i tributi, i ricordi e le commemorazioni a Luigi Tenco, cantautore-poeta morto suicida a ventinove anni durante il Festival di Sanremo nel 1967. De Gregori nutre grande curiosità e ha profonda stima e nei confronti di Tenco, proprio per questo fatica ad accettare che «tutti dicevano io sono stato tuo padre purché lo spettacolo non finisca», così come non può non vedere come «presero le sue mani e le usarono per un applauso più forte», fino a chiedersi chi abbia realmente ucciso questo Piccolo principe della musica italiana.
La denuncia di Francesco De Gregori resta nelle orecchie quando si affrontano momenti celebrativi, perché il confine tra voluto e dovuto, ma anche tra memoriale e commerciale è sempre sottile. Che dire di Dante Alighieri e di quella macchina che, intorno al settecentenario dantesco che cade proprio nel 2021, sta andando a pieno ritmo da un anno a questa parte e che il 25 marzo tocca il suo apice, anche se poi si continuerà per tutto l'anno con iniziative ed eventi di ogni tipo. E così Dante diviene oggetto di studio e di conferenze e incontri, da sempre e anche quest'anno in particolare, ma è anche un ologramma digitale con cui interagire in ogni tipo di piattaforma, e poi si ritrova protagonista di libri di ogni genere, così come la sua vita è tratteggiata come un'epopea pop e le sue ombre fessure in cui infilarsi per scrivere di tutto, misteri giallistici, ipotesi azzardate, deduzioni forzate, spin off che prendano spunto da ogni dettaglio, fino ai regni della Commedia che in questo 2021 diventano gusti di gelato. Viene da chiedersi cosa resti di Dante.
Se si parla di Dante, non basta citarlo per far bella figura, perché non è un orpello, un discorso elegante, un gioiello prezioso da sfoggiare nel momento opportuno. Se Dante entra in un articolo, in una storia, in un'opera d'arte, allora devono sentirsi la sua denuncia, il suo grido, la potenza della sua figura ingombrante e sempre alla ricerca della verità, costi quel che costi, della giustizia, costi quel che costi, della liberazione, costi quel che costi. Dante non è accomodante, nonostante la sua mente innamorata porti alla bellezza più pura, nonostante la sua poesia sia la più alta delle montagne e la più limpida delle acque; Dante scuote, interroga, denuncia, infiamma, parla e "lascia pur grattar dov'è la rogna". Se c'è lui, con la sua bellezza e con la sua dirittura, niente è come prima.
Il Dantedì è un'occasione da cogliere e un meritato riconoscimento al Sommo Poeta, così come il settecentenario di Dante è un modo come un altro per tornare volentieri a lui - e l'Italia ha tanto bisogno di riscoprire Dante, il suo padre nobile - ma a patto che le commemorazioni non vogliano imbrigliarlo chiamandolo padre senza ereditarne i tratti, o esaltandone l'opera mai letta, mai compresa, riducendolo a fenomeno da portare a memoria per poi relegarlo alle aule scolastiche, perché concluse le cerimonie la letteratura è bene che torni a essere lettera morta, di nessuna utilità, buona per un hastag o per sfoggiare cultura in un tweet.
Torniamo a Dante in maniera integrale invece, intraprendendo un percorso di conoscenza e di lavoro su di sé (di salvezza!) seguendo un mirabile poeta, proprio come Dante fece con Virgilio, dando proprio alla poesia il ruolo di strumento di ricerca dell'essenziale seguendone l'esattezza, la grazia e la capacità di mostrare il vero anche dove sembra esserci l'ovvio. Torniamo alla politica di Dante, quella che assegna dignità al lettore invitandolo a ragionamenti e rimandi complessi, quella che invita a preparare se stessi a essere migliori per contribuire con la propria azione al miglioramento della realtà che in cui ci è dato di vivere, quella che chiama le cose con il loro nome, infernali o salvifiche che siano, senza ipocrisie.
Leggendo e studiando, andiamo alla riscoperta del pensiero dantesco, radicale e bello insieme, la sua poesia così tanto incarnata, vocabolo dopo vocabolo, il suo bisogno di farsi domande per capire, per compiersi, la sua generosità che lo porta a fare esperienza di un cammino e un'alta fatica per sé e insieme per tutti gli uomini. Che Dante sia luce nella selva oscura di questo tempo, proprio oggi ma soprattutto da oggi in avanti, quindi anche domani, quando non ci saranno più i riflettori mediatici sulla sua poesia.