David Bowie, tre anni senza: i 5 album più belli
Da "Hunky Dory" fino all'ultimo capolavoro "Blackstar", i dischi indispensabili del Duca Bianco, morto il 10 gennaio del 2016
Nei suoi dischi più ispirati Bowie è riuscito a coniugare avanguardia e pop
Ci piace pensare che il 10 gennaio 2016 David Bowie non sia morto veramente, ma che sia semplicemente tornato da dove era arrivato, dallo spazio. Un alieno benevolo e imprevedibile che ha dato nuovi e inattesi significati al ruolo della rockstar, spargendo per quasi cinquant’anni sulla Terra bellezza e arte nel suo storytelling sui problemi di identità e sullo spirito collettivo contemporaneo. Un camaleonte senza passato, che si è fatto messaggero di un futuro in cui l’avanguardia, pur senza abdicare alle sue ambizioni culturali, poteva essere fruita da tutti attraverso ritmi e melodie irresistibili.
Vogliamo ricordare qui i 5 album più belli di David Bowie, a tre anni dalla sua scomparsa, vere e proprie opere d’arte che non possono mancare nella discoteca di un appassionato di rock. [Cliccare su Avanti]
1) Hunky Dory (1971)
La copertina da diva del cinema muto introduce al primo dei capolavori di Bowie, realizzato in un periodo di grandi cambiamenti: il nuovo manager Tony Defries, il matrimonio con Angela Barnett e la nascita del piccolo Zowie. L’inizio è folgorante, con Changes, Oh!You pretty things e Life on Mars? , una canzone, quest'ultima, di siderale bellezza, il manifesto della sua estetica. Andy Warhol, Song For Bob Dylan e Queen Bitch sono molto più che semplici tributi al genio della pop-art, al bardo di Duluth e al leader dei Velvet Underground Lou Reed, che Bowie rilanciò pochi anni dopo producendo il suo secondo album Transformer.
2) The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972)
Secondo Bowie “gli anni Settanta furono l’inizio del ventunesimo secolo”, ed è difficile dargli torto, a giudicare da un album incredibilmente fresco, moderno e innovativo come The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, in cui l’artista inglese ha ridefinito i contorni della rockstar, che aveva ora le sembianze di un androgino smilzo, truccato e dai capelli a spazzola, che si aggirava con sguardo smarrito in un vicolo di Londra bagnato dalla pioggia. Ziggy Stardust è il disco glam-rock più longevo del Novecento, in cui Bowie rivela tutta la sua straordinaria versatilità vocale, alternando toni riflessivi, disperati ed estatici. I riff di chitarra di Mick Ronson in Moonage Daydream, Suffraggette City e Ziggy Stardust sono da brivido, contribuendo in maniera decisiva a definire i canoni del suono glam.
3) Low (1977)
Il primo disco della leggendaria trilogia berlinese, benedetto dal tocco magico di Brian Eno, fu concepito per buona parte negli studi francesi di Chateau d’Herouville, dove il produttore Tony Visconti suggerì ai musicisti di Bowie di dare la loro personale interpretazione della glaciale perfezione sonora di gruppi tedeschi come Kraftwerk, Neu! E Cluster. L’ex Ziggy Stardust andò a vivere con l’amico Iggy Pop a Berlino, allora capitale europea della droga e del decadentismo. Il lato A di Lowbrillava per brani irresistibili come What in the world, Sound and Vision e A new career in a new town, mentre il lato B era decisamente più ostico con i quattro brani ambient realizzati da Brian Eno.
4) Heroes (1977)
Mentre Low era uno spaccato delle psiche di Bowie, Heroes è una carrellata in bianco e nero della Berlino decadente di fine anni Settanta, dal quartiere turco fino a quello dei locali notturni frequentati da Bowie insieme all’inseparabile Iggy Pop. L’album fu registrato presso gli Hansa Studios, ex sala da ballo della Gestapo che si trovava a due passi dal muro di Berlino. Anche in Heroes si alternano canzoni pop d’avanguardia a brani strumentali ambient che recano l’inconfondibile firma di Brian Eno. La title track, impreziosita dalla chitarra liquida di Robert Fripp, è senza ombra di dubbio una delle dieci canzoni rock più belle di sempre.
5) Blackstar (2016)
Ipnotico. Inquietante. Disturbante. In una parola, un capolavoro. Blackstar è il canto del cigno di un artista che, vedendo la morte farsi sempre più vicina, si è fatto beffa di lei trasformando le sue inquietudini nei sette capitoli del suo ultimo libro, un avvincente noir con un finale a sorpresa. Un manuale da tramandare alla nuove generazioni di artisti, per mostrare loro la strada del coraggio, dell'incessante rinnovamento stilistico e della capacità di non intendere la musica come un mero bene di consumo, ma come una forma d'arte destinata a durare negli anni.