La dolce morte dell'italiano
Semplificazioni, acronimi e anglicismi incrinano ogni giorno la profondità della nostra lingua, cesellata da secoli di lavoro accurato e artistico. Ma il colpo di grazia potrebbe venire da asterischi (*) e schwa (ə).
Siamo tutt* interessat*, e alcun* sono anche preoccupat*, nel capire se tra qualche anno ə nostrə figlə si troveranno a scrivere così. E, nel caso, servirà per tuttə un corso di dizione perché queste parole, tra asterischi e schwa (innovazioni linguistiche adottate per evitare il predominio del genere maschile), paiono impronunciabili, oltre che illeggibili, aliene.
Il dibattito è vivo da qualche anno. La tematica dell'inclusività è trasversale e abbraccia ogni ambito, dalle proposte di legge ai salotti televisivi più mondani. Non stupisce quindi che abbia anche una declinazione linguistica di cui si occupano a vario titolo esperti del settore e rapper del momento, pubblicitari in cerca di click e accademici riformisti o arroccati su posizioni difensiviste. Tutti sono legittimati a dire la propria su ogni questione, per cui un tweet, un post, un reel (sic!) anche sulla lingua italiana e sul suo uso corretto non se lo nega nessuno.
Il caso di questi giorni ha portato a un'accelerazione del dibattito sulla lingua, perché il liceo classico torinese Cavour ha scelto di adottare l'asterisco per ogni desinenza che possa segnalare un genere specifico, per cui ci saranno comunicazioni rivolte a alunn* e student*, e questi saranno di volta in volta sospes* o ritenuti eccellent*, rimandat* o promoss*.
La questione peraltro è sempre e subito politica: c'è chi benedice la scelta perché le generazioni dei giovani sono molto più avanti su questi temi e non si faranno alcun problema, al contrario c'è chi non tollera che la lingua dei padri si pieghi all'ideologia. Mille sfumature nel mezzo, ma alla fine ci si schiera pro o contro, che si conosca la materia o meno.
Insomma, asterisco e schwa, caratteri dell'alfabeto fonetico internazionale, vengono adottati per la lingua comune, quella utilizzata per l'italiano che si dice «standard». La scelta di inserire simboli di una disciplina complessa come la linguistica per un codice che deve essere utilizzato e alla portata di tutti è forte, viene dall'alto e non certo dall'uso e non è cosa di poco conto. Leggere un referto di una risonanza magnetica non è da tutti e non è per tutti, per cui il medico che referta scrive utilizzando tecnicismi perché si rivolge a un collega, ma questo discorso non può adattarsi alla lingua di un popolo che da un momento all'altro si trova a dovere decifrare un alfabeto che non possiede.
Il dibattito non si risolverà nel breve e come per ogni modificazione linguistica, anche in questo caso solo la consuetudine stabilirà chi avrà avuto ragione, nel tempo. Certo va ricordato che l'italiano non ha ereditato dalla lingua latina il genere neutro e, come diverse lingue neolatine, si è data un'organizzazione grammaticale basata sul genere maschile e sul genere femminile. Il genere grammaticale è un tratto linguistico, una caratteristica che si assegna al di là del genere sessuale, tanto che una cosa è maschile, come «righello», e un'altra femminile, come «matita», senza che ci sia un corrispondente dell'altro sesso. Alcune parole hanno cambiato genere nel tempo: «automobile» era maschile fino alla fine dell'Ottocento, quando Gabriele D'Annunzio la volle femminile, per il suo fascino e la sua potenza ispiratrice, così divenne «la automobile», «un'automobile».
Oltre a questo, si scorge un pericolo. L'italiano è una lingua esteticamente bella, ricca, musicale, con padri nobili e veri artisti della parola che in centinaia di anni l'hanno curvata, modellata, arricchita «parola per parola, lettera per lettera» come scrive nel 1825 Alessandro Manzoni al suo caro amico Luigi Rossari, proprio mentre lavora alla revisione dell'italiano per consegnarlo alla nascente nazione.
Ecco, il rischio di queste proposte linguistiche per una nobile causa è quello di imporre dall'alto modifiche enormi senza l'ausilio di una riflessione estetica, dando vita così a una neolingua brutta, approvata da un certo conformismo formale, ma lontana dalla sua naturalezza, e alla prova dei fatti chissà quanto alla utile a un'inclusione e a una parità sostanziale certamente necessarie.