Duran Duran a "Rock in Roma" - Recensione, scaletta e video
La band guidata da Simon Le Bon ha conquistato gli spettatori di Capannelle con un riuscito mix di successi e nuovi brani
I “ragazzi selvaggi” hanno dimostrato ancora una volta come far divertire i loro fan
Uno dei luoghi comuni più errati della critica musicale è che gli anni Ottanta siano completamente da buttare. Forse ci si dimentica che in quel periodo si sono affermate band come U2, The Cure, The Smiths, R.E.M, New Order e Talking Heads o che hanno raggiunto il loro apice stelle della musica black quali Michael Jackson e Prince.
Anche le cosiddette boy band di quegli anni, come i Duran Duran e gli Spandau Ballet, sono state in grado di scrivere canzoni indimenticabili, pensiamo ad esempio a Save a prayer e a Through the barricades, che oggi farebbero la fortuna dei loro imberbi successori. Segno che, oltre alla forma, c’era anche tanta sostanza e che il pop non è una parolaccia, qualora venga declinato con gusto, sensibilità e qualità.
Tutte qualità che ieri hanno confermato ancora una volta i Duran Duran, nella prima data del "Postepay Sound Rock in Roma" all’Ippodromo delle Capannelle. In genere nei concerti delle band con diversi lustri sulle spalle, i brani nuovi sono vissuti quasi come uno scotto necessario per arrivare finalmente ai grandi classici del passato. Non è stato così per i Duran Duran che, nell’eterno derby con gli Spandau Ballet, hanno dimostrato una maggiore capacità di rinnovamento, pur senza snaturare il loro inconfondibile stile, come rivelato dal convincente Paper Gods del 2015, un album che, se fosse stato inciso da una pop band di oggi, avrebbe fatto gridare al miracolo.
L’inizio del concerto è affidato proprio alla suggestiva title track Paper Gods, una gemma pop in cui il gospel sposa l’elettronica e dove il testo, affatto banale, è un invito a tenersi alla larga dagli idoli fallaci del terzo Millennio. Bastano poche battute per riconoscere l’inconfondibile incedere marziale di Wild Boys, che infiamma le migliaia di persone accorse a Capannelle. Un brano che magari dirà poco ai millenials ma, per chi ha oggi intorno ai quarant’anni, ha rappresentato un vero e proprio inno generazionale, che ha fatto tornare indietro le lancette del tempo al 1984, anche se il sound della canzone è ancora oggi attualissimo.
“Avete fame?”, gigioneggia Simon le Bon per introdurre la grintosa Hungry like the wolf , seguita dalla cinematica A view to a kill, brani amatissimi dal pubblico italiano, che supportano il cantante inglese con un coro a pieni polmoni. Ritmi più morbidi e romantici caratterizzano Come undone, ma è solo una pausa momentanea perché i bpm tornano a salire prepotentemente nella tiratissima Last night in the city, per poi rallentare di nuovo nell’ariosa What are the chances?, estratte entrambe da Paper Gods.
“Voi forse non lo sapete -scherza Le Bon- ma noi siamo un gruppo funky, grazie all’incontro che abbiamo avuto con Nile Rodgers”. Incontro assolutamente fruttuso a giudicare dal groove travolgente di Notorius e di Pressure Off, uno dei migliori singoli pop degli ultimi dieci anni, in cui è evidente l'influenza del sound degli Chic nei perfetti incastri tra la chitarra wha wha di Dominic Brown e il basso rotondo di John Taylor.
Grandi emozioni ha suscitato il medley tra l’evegreen Planet Earth e la siderale bellezza di Space Oddity di David Bowie, nume tutelare dei Duran Duran, con un grande applauso a omaggiare la foto sul maxischermo del compianto Duca Bianco. Non poteva mancare il singalong nella splendida ballad Ordinary World, che ha segnato la rinascita artistica della band dopo qualche anno travagliato, mentre ha convinto pienamente la cover di White Lines di Grandmaster Flash & Melle Mel, un brano storico in quanto è stato il primo brano hip hop con un contenuto sociale(l’abuso di cocaina) nel lontano 1983.
Gran finale con il trittico tutto da ballare (Reach Up for the) Sunrise / New Moon on Monday, The Reflex e Girls on Film, in cu le tastiere ipertrofiche dell’enigmatico Nick Rhodes giocano un ruolo di primo piano.
Bis quasi obbligati, con la malinconica bellezza di Save a Prayer e la gioiosa levità di Rio. I Duran Duran hanno dimostrato di avere la capacità di tenere il palco di una band con quarant’anni di carriera alla spalle e la freschezza di un gruppo di esordienti. Un concerto in cui si è cantato, ballato e sudato per quasi due ore, senza mai un calo di tensione.
I Duran Duran non si sono adagiati sul loro glorioso passato, ma sono cresciuti anno dopo anno come live band, sfornando nel 2015 un gioiellino pop come Paper Gods. Se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, forse il gruppo avrebbe potuto suonare qualche brano in più del nuovo album, ma è giusto, per chi magari li vedeva per la prima volta, proporre una scaletta greatest hits che ha reso tutti felici.
I sorrisi all’uscita del concerto raccontavano meglio di tante parole la riuscita del concerto, in cui i “ragazzi selvaggi” hanno dimostrato di essere un gruppo di grandi professionisti che sanno come far divertire i loro fan con uno show impeccabile sia dal punto di vista musicale che scenografico. [Cliccare su Avanti]
La scaletta del concerto
Setlist Rock in Roma
Paper Gods
The Wild Boys
Hungry Like the Wolf
A View to a Kill
Come Undone
Last Night in the City
What Are the Chances?
Notorious
Pressure Off
Planet Earth/Space Oddity
(David Bowie cover)
Ordinary World
I Don't Want Your Love
White Lines (Don't Don't Do It)
(Grandmaster Flash & Melle Mel cover)
(Reach Up for the) Sunrise / New Moon on Monday
The Reflex
Girls on Film
Encore:
Save a Prayer
Rio