Ecco come saranno le città nello spazio
Elio, alluminio e titanio dalla luna per costruirle, ascensori stellari per raggiungerle, acqua dagli asteroidi per viverci
È mattina presto, la sveglia raglia il suo solito lamento, una coppia ancora assonnata si alza dal letto e si avvia scalza verso la cucina per la colazione. Il sole batte sulle finestre, fuori è una splendida giornata. Lei, bellezza bionda in sottoveste, si versa un bicchiere di succo d’arancia ed esce in terrazza. Quasi immobile scruta quello che vede, il tappeto verde di alberi e costruzioni dalla forma regolare che le si stende placido davanti. Ma è il panorama a essere irregolare, strano, inconsueto almeno per noi osservatori: le case, la vegetazione, sono anche tutt’intorno, si alzano sui lati ubbidendo a traiettorie curve, altre restano sospese in aria parecchie centinaia di metri sopra la sua testa. Il motivo è semplice: la protagonista di questa storia, di questo incipit visto e rivisto di un film di fantascienza di second’ordine, abita in un’enorme boccia di vetro cilindrica sospesa nello spazio.
È una scena uscita dalla penna di uno scrittore senza troppa fantasia o figlia di effetti speciali posticci assemblati al computer, ma presto o tardi potrebbe diventare reale. Vera. Quantomeno verosimile. Agenzie come la Nasa, governi di superpotenze come quella cinese, imprenditori privati gonfi di soldi e ambizioni, stanno lavorando con seria cocciutaggine per avverare il sogno di trasferire fette d'umanità in altri luoghi che non siano la terra. La luna, Marte, o in giganti stazioni orbitanti intorno alla terra. Non limitandosi agli annunci, ma studiando strategie a tutto tondo: per arrivarci, predisporre il nuovo ambiente in modo efficace per consentire a semplici cittadini senza un particolare addestramento di sopravvivere.
L’idea è preistorica, risale al 1970, quando il fisico dell’università americana di Princeton Gerald O’ Neill ipotizzò la costruzione di una colonia di 100 mila persone nei pressi dell’orbita lunare. Il momento non è un caso, la sua teoria è datata un anno dopo l’epico sbarco di Neil Armstrong, quando l’attenzione e l’entusiasmo erano alle stelle. Ma c’era dell’altro, c’era la convinzione che fosse possibile, entro il 1995, dare vita ad habitat rotanti, chiusi, serrati, ma con vetrate trasparenti per lasciar entrare il sole, che avrebbe provveduto anche a generare tutta l’energia necessaria, mentre la luna sarebbe stata una miniera generosa di alluminio e titanio per costruire le abitazioni spaziali. L’acqua sarebbe arrivata dagli asteroidi, da agganciare e rimorchiare per ogni occorrenza. Hai l’acqua, hai la luce, hai l’energia, la vita diventa possibile. E per i trasporti tra il pianeta madre e questa sua nuova popolata appendice, si sarebbero usate navicelle ad hoc. Forse non ci abbiamo mai fatto caso, ma lo Space Shuttle contiene in sé il concetto di fare la spola, di andare avanti e indietro di continuo. Non è forse questa la caratteristica primaria di uno shuttle?
L’idea di O’ Neill, visionaria certo, ma con un fondamento scientifico, si arenò contro i costi che erano proibitivi per qualsiasi potenza, il clima gelido della Guerra Fredda, l’entusiasmo per la corsa allo spazio che lentamente rallentava spostandosi verso esigenze più immediate e urgenti. Ma oggi torna in auge, anzi si arricchisce di ambizioni ben più sfrenate. La compagnia olandese «Mars One» vuole colonizzare il pianeta rosso nei prossimi dieci anni, forse già nel 2023. Ha racconto le adesioni di centinaia di migliaia di volontari disposti a lasciare per sempre la terra e a preparare al meglio le condizioni per chi verrà dopo di loro. Ne servono quattro, che devono essere consapevoli di un punto serissimo, di una clausola che è una grossa mannaia: non potranno più tornare indietro, dovranno dire addio per sempre ad amici e famiglie. Su Marte la gravità della superficie è pari al 38 per cento di quella del nostro pianeta: conviverci significa subire un cambiamento sostanziale della densità delle ossa, della circolazione, della forza muscolare, che rende impossibile sopportare nuovamente le condizioni d’origine. Almeno finché non si studieranno contromisure all'altezza.
Meno tragica, sebbene detta così possa fare un po’ sorridere, è l’ipotesi di andare a vivere sulla luna. La Cina ha piani segretissimi, a dicembre del 2013 ha portato a termine con successo un atterraggio e ha un progetto spaziale segreto ma, a quanto pare, davvero avanzato. Chissà che non stia pensando di creare una seconda casa per la sua popolazione in perenne aumento. C’è chi lo dice in modo esplicito: «Possiamo colonizzare la luna» ha affermato Elon Musk, lo stesso della rivoluzione delle auto elettriche con Tesla , lo stesso che ha fondato la compagnia di trasporti spaziali SpaceX. Intanto, in collaborazione con un altro imprenditore, il paperone degli alberghi Robert Bigelow, lancerà nello spazio una flotta di case gonfiabili, piccole suite in grado di raggiungere lo spazio e generare ambienti abitabili. In via sperimentale arriveranno alla Stazione Spaziale Internazionale, ma nulla esclude che più avanti possano giungere fino alla luna, o altrove, per essere utilizzate per soggiorni brevi o lunghi nello spazio.
La terza via, quella più probabile o almeno più vicina, suggerisce di escludere la luna, Marte o altri pianeti e, come nella visione di O’ Neill, creare autentiche stazioni con un loro ecosistema che orbitino intorno alla terra (foto sopra). Esatto, città spaziali. Per arrivarci, e qui tenetevi forte perché sembra di scivolare sull'unto della fantascienza, non si userebbero razzi o shuttle, ma ascensori che corrono lungo un cavo ancorato all’equatore. Ipotesi prima impossibile, da folli visionari, ma poi diventata percorribile da quando nel 2010 il premio Nobel per la fisica è andato agli esperimenti sul grafene, cento volte più robusto dell’acciaio e candidato perfetto per costruire questi fili interstellari che dovranno resistere all’aggressività di violentissime forze centrifughe. Sui luoghi dove installare questi ascensori volanti, i costi, e il possibile impatto (per quanto suggestivo) da pugno nell’occhio, non è dato sapere.
La Nasa per ora si sta concentrando su problemi più pratici e più urgenti da risolvere. Spende 28 milioni di dollari l’anno per studiare farmaci, alimenti e sistemi di protezione dalle radiazioni che nello spazio sono potenti e pericolose, alla lunga letali. Risolto o minimizzato il punto, l’economia delle nuove città potrebbe fondarsi sul turismo galattico o sull’estrazione di titanio dalla vicina luna, ricca anche di elio-3, una buona fonte di carburante per i reattori. Per il resto alcune ipotesi avanzate già nel 1970, così come le scene uscite da qualche film o novella di fantascienza di serie c, più che ipotesi campate per aria potrebbero rivelarsi gli oracoli della nuova frontiera nello spazio.
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