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Ansa
Economia

2024, il ritorno del Patto di stabilità

Sospeso nel pieno della pandemia, il Patto torna nell'agenda politica italiana ed europea. Con due certezze: dovrà essere meno rigido e che da giugno potrebbe cambiare la guida di Bruxelles

Ritorno al futuro: il 2024 porterà in dote il Patto di stabilità. Era stato sospeso per la pandemia, dando agli Stati il via libera preventivo a qualunque tipo di spesa in deficit: c’era da affrontare una situazione drammatica in cui non si poteva andare tanto per il sottile con i parametri dei conti pubblici. Adesso si torna al passato. Anzi a un futuro che ancora non è scritto. Sì, perché tutti, almeno a parole, concordano su un punto: che il Patto non possa tornare a essere quello di prima, con le sue rigidità. È vero che il Covid non fa più paura, ma l’Europa ha una guerra praticamente in casa, con quel che ne consegue in termini di incertezza e scossoni all’economia. Il caso dell’impennata dei costi dei beni energetici è l’esempio più lampante. Ma ci sono pure le ingenti spese militari, per aiutare l’Ucraina ma anche, in prospettiva, per rafforzare la difesa interna. Insomma: nessuno sembra volere un ritorno alla “stupidità” (Romano Prodi dixit) di quei parametri fissi di deficit e debito.

Detto questo, la partita è aperta. E l’Italia se la sta giocando. Sui tempi, al momento non stiamo ottenendo granché. Di fronte all’ipotesi di un rinvio, caldeggiata dal governo Meloni, il commissario Gentiloni ha stoppato le velleità: il Patto torna dal primo gennaio del prossimo anno. Tra quattro mesi, insomma, giusto in tempo per il governo di approvare una manovra economica che già così non è per niente facile.

Sì, ma quale Patto? Le trattative sono in corso e le posizioni sono queste. Da una parte c’è la Commissione che ha fatto la sua proposta. È una proposta più “politica”, a dispetto dell’approccio spesso definito burocratico di Bruxelles. Lo è nel senso che non stabilisce dei parametri fissi ma prevede dei percorsi da negoziare con i singoli Stati. Hai un debito gestibile? Puoi fare più deficit. In quanto rientri? Vediamo come spendi i soldi. E via così, con un sistema di monitoraggio che fa capo a Bruxelles. Ecco che diventa fondamentale il rapporto con la Commissione, in una dinamica che può risultare conveniente se ben gestita.

A Roma questa ipotesi non piace granché: si teme un controllo troppo stretto, ben sapendo che noi partiamo comunque da una posizione di debito pubblico molto alto che certo non ci favorisce nelle trattative. Una camicia di forza che ingabbia le decisioni e le scelte interne. Inoltre, c’è l’incognita politica: l’anno prossimo ci sono le europee e a guidare le danze sarà una nuova Commissione.

Il progetto però non piace neanche alla Germania, ma per ragioni opposte: l’arcigno ministro delle finanze Lindner lo ha ripetuto più di una volta. Berlino vorrebbe più rigidità, temendo balletti e tira e molla dannosi per la stabilità generale dell’area Euro, già alle prese con una situazione economica per niente rosea, Germania in primis.

La Francia preferirebbe il progetto della Commissione ma siccome senza il partner tedesco non si va da nessuna parte, Parigi sembra disposta a un compromesso che, tutto sommato potrebbe andare bene anche a Berlino. E cioè: percorsi negoziati sì, ma con l’ultima parola al Consiglio Europeo, cioè ai governi. È proprio lì che la Germania è più forte e può dire l’ultima parola.

E l’Italia? Per noi la rigidità tout court sarebbe pericolosa, ma il controllo della Germania forse potrebbe esserlo ancora di più. In sostanza, Meloni non vuole la supervisione della Von Der Leyen (o di chi verrà al suo posto) e rischia di trovarsi quella del socialdemocratico Scholz.

Il governo si sta muovendo in questi giorni per trovare alleati. Per fare asse, come si dice. Con il Portogallo e la Grecia, ad esempio. Ma anche, guardando a est, con Polonia, Ungheria e paesi Baltici. Roma e i suoi eventuali alleati non avrebbero certo la forza di imporre un rinvio del Patto. Giorgetti e Meloni lo sanno bene. Lo sa anche Antonio Tajani che a Bruxelles è stato a lungo. Non a caso proprio lui ha dato voce alla posizione del governo parlando, il 24 agosto, dal Meeting di Rimini. La richiesta è che dal nuovo accordo vengano esclusi gli investimenti per alcuni settori ritenuti strategici. Le spese militari, ad esempio, e su questo il “fronte Est” spinge molto. Ma anche quelli per la transizione green (tanto importante nel Pnrr) e per la digitalizzazione. Al di là dei dettagli, tutti da definire, il concetto che il governo sta portando avanti è: la situazione economica è difficile, lasciamo agli Stati più libertà di spendere per investimenti pubblici.

Vedremo se la strada sarà praticabile. Di sicuro, senza il placet di Macron e Scholz sarà molto difficile, per non dire impossibile. I rapporti con Parigi e Berlino si confermano, come sempre, cruciali. E le prossime settimane diranno se ci sarà la loro disponibilità a trattare, oltre, naturalmente, alla nostra capacità di farci sentire.

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Cristina Colli