Cos'è l'Abenomics che ha portato in recessione il Giappone
Le elezioni anticipate saranno un referendum sulla politica economica del primo ministro Shinzo Abe che avrebbe voluto risollevare il Paese. E invece...
Abenomics si o Abenomics no? Sarà questa in soldoni la domanda a cui saranno chiamati a rispondere i cittadini del Sol Levante alle elezioni anticipate del 14 dicembre prossimo. A volerle a tutti i costi il primo ministro in carica, il liberal democratico Shinzo Abe, che ha sciolto il Parlamento. Cerca la riconferma a strettissimo giro in barba ai risultati pressoché fallimentari della sua politica economica.
Due anni fa era stato eletto a furor di popolo con il 43,01% delle preferenze al grido di “Japan is back”. Ora, a volere essere cinici, Japan is davvero back: back nella recessione! La doccia fredda è arrivata lunedì 17 con i dati preliminari sul Pil del terzo trimestre: -0,4% sui 3 mesi precedenti e -1,6% su base annualizzata. E pensare che gli analisti si aspettavano un magico +2,1%. Bravi loro!
Recessione in Giappone: cause e conseguenze
Ma che cos’è l’Abenomics? Sta per “Abe + economics” e dal punto di vista puramente linguistico trova dei precedenti illustri in Reaganomics o Clintonomics dai nomi dei rispettivi inquilini della Casa Binaca. Nello specifico significa una inondazione di moneta stampata ex novo e iniettata, con operazioni di mercato, nel sistema economico e finanziario per risollevarne le sorti. Null’altro che il QE ossia il quantitative easing (letteralmente: “alleggerimento quantitativo”) messo a segno dalla Fed all’apice della crisi post mutui sub-prime, insomma. O, ancora, ventilato un giorno si e l’altro pure, da Mario Draghi, capo supremo delle Bce, quale misura estrema pro-euro.
Ma andiamo in ordine. Due anni fa Abe si è assunto il compito monstre di far ripartire il Paese reduce da due decenni e più di recessione. E l’ha fatto iniettando soldi freschi. Ben 7 trilioni di yen al mese pari a 65 miliardi di dollari. Manco la Fed! O meglio: ai tempi Ben Bernanke, il predecessore dell’attuale sacerdotessa del biglietto verde Janet Yellen, arrivò a 85 miliardi di dollari al mese. Per un anno, però. Non due. E, soprattutto, gli Usa hanno 2,5 volte gli abitanti del Giappone.
Risultato? Sulle prime il Paese è sembrato ripartire: in un anno la disoccupazione è scesa al 4,1% e la spesa delle famiglie è aumentata del 5,2%. Pure la Borsa correva: a inizio 2014 aveva guadagnato il 50%. Ma ad aprile è bastato l’aumento programmato dell’Iva dal 5 all’8% perché l’intero ingranaggio s’inceppasse di nuovo. Pensate: dal 5 all’8%! E in Italia che siamo al 22% dovremmo impiccarci in massa mi viene da dire… Mercati diversi, per carità.
Restando in Giappone... Ora Abe tenta il bis. Ha congelato l’ulteriore aumento dell’Iva al 10% che sarebbe dovuto scattare nell’ottobre 2015 ma andava confermato in queste ore e, complice una opposizione sbrindellata e incapace di riorganizzarsi in un paio di settimane o poco più, scommette sul colpo gobbo. Vi ricorda qualcosa o qualcuno?
P.s. A onore del vero Abenomics non è solo QE. Almeno sulla carta avrebbe voluto dire anche “riforme strutturali”. Ma finora non vi è stata traccia. Sarà anche che il sistema economico giapponese ruota attorno a sei grandi gruppi detti “keiretsu” formati ognuno da decine di imprese collegate tra loro a doppio filo attraverso compartecipazioni azionarie. In partica hanno il controllo pressoché totale del Paese e di riforme non ne vogliono sentire parlare. Essendo poi i principali sostenitori di Abe il social democratico, a voi la conclusione…