L'accordo europeo sul petrolio a due facce
«Bene per l'unità politica dell'Europa ma lo stress sui mercati del combustibile cresceranno ancora» commenta Gianclaudio Torlizzi
L’accordo sull’embargo al petrolio russo trasportato via mare, raggiunto nella notte dai Paesi dell’Unione europea, porterà allo stop “di oltre due terzi delle importazioni di greggio dalla Russia, colpendo così una delle principali fonti di finanziamento per la sua macchina da guerra. Stiamo esercitando la massima pressione possibile su Mosca per far finire il conflitto”, ha twittato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Due terzi del petrolio importato dalla Russia nell’Ue arriva infatti via mare e solo il resto dall’oleodotto Druzhba, che per ora continuerà a erogare greggio. Ma entro la fine dell’anno l’embargo arriverà a colpire il 90% dell’export russo verso l’Ue, perché Polonia e Germania, che sono comunque connesse all’oleodotto, smetteranno di acquistare anche il petrolio via tubo.
L’intesa sul sesto pacchetto di sanzioni alla Russia “rappresenta un salto di qualità dal punto di vista politico, perché denota un’unità più forte tra i Paesi europei rispetto ai precedenti pacchetti”, spiega a Panorama.it Gianclaudio Torlizzi, fondatore di TCommodity. “Seppure al momento l’embargo riguarda il petrolio via mare, il fatto che Germania e Polonia si siano dette disponibili a tagliare entro dicembre anche le importazioni via tubo è importante, perché a quel punto lo stop riguarderà il 90% delle importazioni di greggio dalla Russia”.
Politicamente si tratta di un fatto positivo, “ma a livello economico la decisione metterà sotto ulteriore stress il mercato petrolifero, che già oggi segnala tensioni sul lato dell’offerta, con il Brent che ha toccato i 124 dollari al barile in una situazione in cui la Cina è ancora assente dal mercato, perché sta uscendo lentamente dal duro lockdown degli ultimi tre mesi”, osserva Torlizzi. “Quando la Cina mostrerà una stabilizzazione dell’economia il greggio potrà arrivare a toccare i 150 o anche 200 dollari al barile”.
Questo “porterà a un’ulteriore fiammata dell’inflazione legata ai prezzi dell’energia, non solo a quelli del petrolio ma anche a quelli del gas. Per due ragioni: in primis le sanzioni spingeranno la Russia a tagliare la produzione di petrolio. In secondo luogo, Mosca utilizzerà il gas come arma geopolitica in modo ancora più aggressivo, quindi riducendo i flussi. Abbiamo già avuto i primi segnali nelle scorse settimane, con lo stop alle forniture alla Polonia e alla Bulgaria prima e ora anche all’Olanda. Il gas sarà ancora una volta l’arma che Putin userà per applicare ritorsioni nei confronti dell’Europa”.
In un contesto del genere, aggiunge l’esperto, “l’inflazione in crescita spingerà la Bce a restringere la politica monetaria anche più di quanto non sia disposta a fare, in scia alla Federal Reserve. Avremo così meno liquidità sul mercato per effetto delle politiche monetarie dell’Eurotower, che dovrà iniziare a pensare a quale strumento adottare per evitare un ampliamento eccessivo degli spread”. L’aumento dei tassi, argomenta Torlizzi, “comporterà infatti un aumento del costo del rifinanziamento del debito dei singoli Paesi, inclusa l’Italia. Il mercato dovrà quindi fronteggiare una situazione che vedrà la crisi di liquidità affiancarsi alle tensioni sul fronte delle materie prime e ai problemi di approvvigionamento sul lato logistico, che pesano su alcuni comparti in particolare come quello dell’auto, ancora al palo per la carenza di semiconduttori”. Per Torlizzi “abbiamo gli ingredienti per una tempesta perfetta: forse quest’anno riusciremo a scamparla, ma il rischio di recessione nel primo trimestre 2023 è molto concreto”.