Alcoa, non resta che la carità degli americani
Parla Paolo Agnelli, industriale dell'alluminio e presidente di Confimi: "Le fabbriche vanno difese ma quello stabilimento non ha senso".
Paolo Agnelli ha a cuore le sorti della manifattura italiana, al punto da aver creato una nuova associazione per rappresentarla, la Confimi. Ma non ha dubbi di fronte al caso Alcoa: quello stabilimento non ha più alcuna ragione di esistere. E lo dice a ragion veduta. La sua famiglia è stata la prima a lavorare l’alluminio in Italia, a partire dal 1907. Lui oggi guida un gruppo (circa 100 milioni di fatturato), con sede a Bergamo, che ogni giorno ne consuma 100 tonnellate, acquistate all’estero.
Perché compra all'estero, signor Agnelli?
Facciamo i nostri acquisti da alcuni grandi produttori europei e nei Paesi Arabi. Perché negli ultimi dieci anni sono diventati leader di mercato quei Paesi con un basso costo dell’energia, o perché hanno le centrali nucleari o perché hanno tanto petrolio in casa. Non è il caso dell’Italia.
E tantomeno della Sardegna…
Produrre alluminio li è stata la scelta più stupida del mondo. L’alluminio si estrae dalla bauxite, con un gran dispendio di energia, deve essere facilmente trasportabile e produce tante scorie. Ecco, in Sardegna non c’è la bauxite, che arriva dall’Australia. L’energia è costosa, come nel resto d’Italia, la logistica è molto scomoda e l’isola non è l’ideale per stoccare le scorie.
E allora perché fu fatta?
Per ragioni politiche dall’industria pubblica, per dare occupazione in una regione difficile. Ma quell’attività li non ha alcun senso se non viene regalata, o quasi, l’energia. Come è stato fatto fino ad ora.
E adesso?
Non ci resta che chiedere la carità agli americani, di resistere ancora qualche anno. E poi sperare in tempi migliori. Ma la scelta sensata sarebbe chiudere tutto. Quello stabilimento non ha alcun senso.
E non pensa agli operai che rischiano il lavoro?
Certo. Ma costa meno mantenerli. Per Alitalia non sono stati attivati anni e anni di cassa integrazione?
E poi per 500 operai che creano un caso, ce ne sono migliaia in difficoltà che non si fanno notare. E a loro chi ci pensa? E alle altre imprese in crisi? Si potrebbe dare un bonus energia sotto forma fiscale. Ma se lo fai per l’Alcoa, devi farlo per tutti….Per le migliaia di piccole medie imprese che soffrono e che non riescono a farsi sentire.
Per questo ha fondato Confimi?
Sì, per dare voce al settore manifatturiero poco rappresentato da associazioni dove si parla di industria ma stanno dentro anche i medici sportivi. Confimi è già presente in quattro regioni, le più industrializzate (Liguria, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto), e riunisce circa 5000 imprese per un totale di 70mila addetti. Ed è in crescita, perché nasce per rappresentare i problemi solo ed esclusivamente di chi fa industria.
Quali sono in sintesi?
Una sola parola: competitività. Io mi auguro che il caso Alcoa faccia finalmente comprendere ai nostri politici che questo è il nostro grande problema.
Lo stesso che frena gli investimenti internazionali?
Sì, ma a me viene da ridere quando sento che la corruzione scoraggia gli investimenti. Forse è al decimo posto. Le cause primarie sono tre: alto costo del lavoro, alto costo dell’energia, infrastrutture carenti. Su queste voci bisogna incidere. Altro che liberalizzazione dei taxi o delle farmacie! Quelli sono pannicelli caldi che non salveranno certo l’industria italiana.