Il triangolo dell’alluminio: Russia, Cina e mercato europeo
Europa davanti al bivio tra le sanzioni a Mosca da cui dipende la nostra fornitura del prezioso metallo
Oggi il mercato dell’alluminio europeo si trova nell’occhio del ciclone, accerchiato dalle iniziative decisorie della Commissione UE. Da un lato gli obbiettivi dell’European Green Deal con l’introduzione del “Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere“ dell'UE nota come CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) per ridurre il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Dall’altro con il 13º pacchetto di sanzioni contro la Russia in cui potrebbe venire inserito l'alluminio grezzo legato e non legato.
Al di là della Manica anche il London Metal Exchange sta scoprendo che quando si tratta di metallo di origine russa, e in particolare di alluminio, non si può accontentare sempre tutti. Anche il più antico mercato dei metalli al mondo si trova a fare i conti con le lobbies occidentali che vorrebbero sanzionare il metallo russo in virtù del fatto che oggi il 90% dell’alluminio presente nei magazzini dell’LME è di provenienza russa. La conseguenza, secondo i produttori occidentali, è il progressivo scostamento dei prezzi dal mercato fisico sottostante, poiché l’LME starebbe legando il prezzo dell'alluminio ad un prodotto che i consumatori non vogliono più acquistare. O poco gradito alle lobbies.
Nel mezzo ci sono quelle industrie che l’alluminio lo acquistano per trasformarlo, che si trovano esposte ai venti del mercato ed alle normative, spesso cervellotiche e di dubbia applicabilità, della Commissione europea. Il pionierismo morale in tema di emissioni che l’Europa sta introducendo nel mercato dovrà essere in grado di reggere alla prova dei fatti mentre, al momento, aggrava solo gli aspetti burocratici da espletare. Soprattutto: le importazioni di alluminio grezzo europee ammontavano a oltre 6,5 milioni di tonnellate nel 2022, chi sarà a sostituire l’alluminio russo che, è opportuno ricordare, è a bassa intensità carbonica?
Consumatori e commercianti europei sostengono che per un’Europa che ha esaurito la sua capacità produttiva, mentre affronta le continue interruzioni della catena di approvvigionamento dovute alle crisi del Canale di Panama e del Mar Rosso, le forniture di alluminio russo sono fondamentali. L'industria di trasformazione europea dipende ancora direttamente o indirettamente dalle importazioni di alluminio primario, leghe o componenti di lega, dalla Russia e sostituirle con il canale di approvvigionamento del Medio Oriente, dell'India e dell'Asia attraverso il Canale di Suez renderebbe poco comprensibili gli ambiziosi obiettivi climatici che si sta ponendo l’Europa.
Inoltre sebbene la maggior parte delle esportazioni russe di alluminio verso l'UE, non siano attualmente soggette a sanzioni, i dati commerciali dimostrano che l'anno scorso queste importazioni hanno rappresentato circa il 10% delle importazioni di lingotti, con un calo di circa il 40%, sensibilmente al di sotto di quanto importato prima della guerra in Ucraina poiché molti operatori europei stanno già evitando di acquistare il metallo russo. A colmare il divario sono state le importazioni dal Medio Oriente, dall'India e dal Sud-Est asiatico, dove oggi le tensioni nel settore della logistica stanno comportando un impatto sul mercato dei trasporti, ed in ultima analisi sul prezzo del metallo, che nelle ultime settimane ha visto aumenti fino a 240 dollari per tonnellata.
Resta da chiedersi l’efficacia che avrebbero le sanzioni sull’alluminio per i produttori russi, a prescindere da quelle per la nostra economia, già di per sé evidenti. Attualmente il principale acquirente di metallo russo è la Cina le cui importazioni di alluminio grezzo sono più che raddoppiate, su base annua, nel 2023, con tre quarti di provenienza russa: una tendenza destinata a consolidarsi nei prossimi anni. Rimanendo la produzione di alluminio in Cina al suo limite di capacità attuale, pari a 45 milioni di tonnellate all'anno, la domanda, sostenuta dai settori noti come i “nuovi tre” fotovoltaico, batterie ed auto elettriche, alimenterà il fabbisogno di importazioni. Le esportazioni annue di alluminio russo sono poco più di 3 milioni di tonnellate e, nel 2024 il Dragone ne assorbirà più di due terzi: in questo modo le quantità di metallo consegnate ai magazzini dell'LME continueranno a diminuire.
Inoltre a rafforzare questo commercio di alluminio sino-russo c’è la reciproca dipendenza delle rispettive industrie: parte del metallo che si sposta dalla Russia alla Cina è stato fuso da allumina cinese, il prodotto intermedio tra la bauxite e il metallo raffinato nella catena di produzione. A sua volta il gigante russo dell'alluminio Rusal dipende dall’allumina cinese che in questo modo smaltisce la sua sovraccapacità.
A sostenere queste ipotesi ci sono due aspetti fondamentali: la volontà cinese di disporre di alluminio “a basse emissioni” e la minaccia che il suo settore finisca nel mirino delle sanzioni per l’uso del lavoro forzato. Dal 2023 il China Green-metal Certification Center ha iniziato a rilasciare certificazioni per l’alluminio green-power prodotto dalle fonderie cinesi che, nella regione sud-occidentale del Paese, utilizzano prevalentemente energia idroelettrica. I differenziali di prezzo nel mercato cinese sono significativi: per i clienti dell’alluminio green-power gli aumenti possono essere anche di 50-70 dollari per tonnellata.
L’alluminio russo è in buona parte a basse emissioni di carbonio, ma in questa situazione, gli acquirenti cinesi non sembrano essere disposti a riconoscere il medesimo premio pagato all’alluminio green-power. Forse la situazione potrà cambiare durante la stagione secca, da novembre ad aprile del prossimo anno, quando le fonderie dello Yunnan potrebbero dover far fronte a interruzioni stagionali di fornitura di energia idroelettrica: in quei mesi la produzione di energia può scendere anche a meno del 60% rispetto alla stagione delle piogge.
Un rapporto di Human Rights Watch sostiene che quasi il 10% della fornitura mondiale di alluminio provenga dallo Xinjiang, dove l'industria dell'alluminio locale utilizzerebbe i lavoratori uiguri: più di 1 milione di loro e di altre minoranze musulmane sono stati detenuti in campi di internamento (Sull'auto elettrica la scure della legge Usa contro il lavoro forzato - Panorama). L'industria dell'alluminio dello Xinjiang si è sviluppata recentemente poiché il governo cinese spinge le fonderie, per mantenere la loro competitività rispetto a quelle occidentali spesso costrette ad interrompere la produzione per gli alti costi energetici, ad utilizzare la più economica energia della regione basata sulla generazione a carbone.
Così mentre le case automobilistiche con grandi fabbriche cinesi, tra cui General Motors, Tesla, Toyota, Volkswagen e BYD, si sentono porre quesiti imbarazzanti circa la forza lavoro della loro supply chain, i dati commerciali dell'alluminio proveniente dallo Xinjiang evidenziano come venga prevalentemente acquistato e venduto da società commerciali cinesi che, oscurando la fonte del metallo, consentono ai produttori e ai loro clienti di evitare controlli imbarazzanti.
Mentre IXM, la terza più grande società commerciale di metalli dopo Glencore e Trafigura, con sede in Svizzera ma di proprietà dell’onnipresente China Molybdenum (CMOC) ha chiesto all’LME la consegna di alluminio russo ed il Regno Unito ha introdotto un bando, a dir poco cervellotico, per le aziende britanniche, i cui unici effetti al momento sono stati quelli di confonderle su quali sarebbero i soggetti colpiti, resta la Commissione europea a sfogliare la margherita per conoscere chi sarà in grado di sostituire la Russia come produttore ed esportatore in Europa e, soprattutto, a quali costi.