Apple, la rivincita di Tim Cook
La società di Cupertino non è mai stata così forte. Nemmeno ai tempi di Steve Jobs
Più o meno quattro anni fa di questi tempi - eravamo all’epoca dell’ultimo congedo di Steve Jobs per malattia - c’era chi (noi compresi) cominciava a chiederselo: che Apple sarà senza il suo leader? Il timore che la società tecnologica più importante del mondo rimanesse orfana non solo di un grande capo, ma anche di una guida spirituale, di un innovatore capace di dettare i tempi e i modi dell’evoluzione tecnologica, era in verità abbastanza palpabile. Già allora.
In pochi, bisogna ammetterlo, avrebbero scommesso un cent sulla possibilità di rivedere Apple lanciata verso i risultati, strabilianti, raggiunti dal guru di San Francisco nel suo secondo ventennio da CEO. Nessuno però aveva fatto i conti con Tim Cook, l’uomo della provvidenza, colui che - oggi possiamo dirlo - ha portato Apple a stracciare tutti i record del passato. I dati finanziari diramati dalla stessa società nella nottata di ieri saranno ricordati per chissà quanti anni ancora: oltre 18 miliardi di dollari in un trimestre rappresentano una cifra mai raggiunta da nessuna altra società al mondo (tecnologica e non). Praticamente, fa notare TechCrunch, nelle casse di Apple arrivano 8,3 milioni di dollari all’ora. Un’autentica macchina da soldi, insomma, capace di fare meglio persino dei grandi colossi dell’industria petrolifera.
Tim Cook meglio di Steve Jobs?
Dire che Tim Cook sia meglio di Steve Jobs sarebbe oltremodo ingeneroso verso colui che, in fin dei conti, questa azienda l’ha fatta nascere (prima) e crescere (poi). Senza dimenticare che fu proprio lo stesso Jobs, prima di morire, a investire Cook come suo erede designato, l’ultima scelta vincente di una vita piena di grandi intuizioni. Ma è indubbio che Cook ci abbia messo del suo. Nella capacità di gestire le criticità a livello istituzionale (si pensi al caso Foxconn), nella ricerca dei migliori talenti, nel saper lanciare i prodotti giusti al momento giusto.
iPhone 6: quando un oggetto di lusso diventa un best buy
L’iPhone 6 è forse la quintessenza di ciò che è diventata Apple sotto la guida del manager australiano: il telefono che Steve Jobs non avrebbe mai approvato ("un iPhone che non si tiene con una sola mano non è un iPhone", ipse dixit) si sta rivelando il più grande successo commerciale della Mela: 74,5 milioni di pezzi venduti in tre mesi rappresentano un caso più unico che raro. È bastato un bagno di umiltà, l’aver compreso che l’utenza predilige gli schermi di grandi dimensioni rispetto a quelli succinti della prima generazione di smartphone, per fare del Melafonino l’unico vero oggetto di lusso (non si potrebbe chiamare altrimenti un telefono che viene proposto a prezzi da 729 a 1059 euro) con volumi di vendita paragonabili a quelli di un comune oggetto della grande distribuzione.
Una società che punta al sodo
Generalizzando, potremmo dire che l’Apple di oggi sia una società decisamente meno snob di un tempo, forse meno esclusiva, ma più vicina alla gente, ai suoi bisogni. L’innovazione? C’è, ma è meno evidente, nascosta fra le pieghe dei dispositivi, probabilmente più utile. Se Steve Jobs amava stupire il pubblico con oggetti mai visti prima, dal design unico e inconfondibile, Tim Cook preferisce puntare sulle comodità, sulle necessità più intime dell’utenza: Apple Pay, il rivoluzionario sistema di pagamento che ci permetterà di utilizzare l’iPhone e il nuovo Watch al posto della carta di credito, Health, HomeKit e Continuity rappresentano in questo senso i semi su cui la nuova Apple sta costruendo il suo futuro. E i primi frutti, a quanto pare, stanno già arrivando.