Gli attacchi ucraini alle raffinerie russe funzionano ma il conto lo paghiamo anche noi
Mosca sta vedendo ridotta la produzione di 900mila barili al giorno. Un pesante danno economico per il Cremlino che però si ripercuote anche sulle nostre tasche come spiega Gianclaudio Torlizzi
Anche l’Europa pagherà il prezzo, alto, degli attacchi ucraini alle raffinerie russe. I droni di Kiev, in azione nelle ultime settimane, hanno danneggiato pesantemente la capacità russa nel comparto della raffinazione di idrocarburi, portando ad una riduzione di 900 mila barili al giorno (stima Jp Morgan). Significa intorno al 15% del totale. Un problema per Mosca, ma anche per il resto del mondo, Europa in particolare. “Gli ucraini hanno capito che per ottenere risultati concreti e danneggiare la macchina bellica russa la strada è colpire le raffinerie. Ma il prezzo da pagare sarà alto anche per noi”, spiega Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity.
Oggi ci sono circa 19 raffinerie russe danneggiate e lo scorso weekend c’è stata una recrudescenza dell’azione ucraina con i droni. E se gli attacchi da un raggio di 1200 km arrivassero a un raggio di 1500km l’impatto sulla produzione toccherebbe 21 raffinerie. Colpire le infrastrutture energetiche ha come primo ed evidente impatto ripercussioni sulla capacità di approvvigionamento dell’esercito russo e sull’economia di Mosca. Tanto che la Russia, iniziando a risentirne, ha bloccato la vendita di benzina all’estero (Italia compresa) da inizio marzo a fine agosto, per tutelare il mercato nazionale.
Ma gli effetti ci sono e ci saranno sull’economia europea e mondiale, non solo russa. Il problema numero uno è il prezzo. “Il gasolio oggi veleggia intorno agli 845 dollari a tonnellata, non lontano dal record storico toccato nel 2022. Le tensioni sui prezzi saliranno e non possiamo farci nulla. Gli aumenti significano infiammare l’inflazione e quindi un maggiore ostacolo alla Bce per il futuro taglio dei tassi di interesse”, spiega Gianclaudio Torlizzi. E il prezzo record del gasolio colpisce anche i Paesi africani alle prese con la crisi valutaria, come Nigeria, Libia e Tunisia. La questione prezzo è dunque globale.
Il problema numero due è la disponibilità di carburante. L’Europa ha ridotto fortemente la sua dipendenza dal carburante russo, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni. In Italia si è passati dal circa 13% del 2022 a meno del 2% di oggi. “Ma il tema disponibilità può diventare un problema, se si guarda al mercato intero. Oggi è ancora più importante, infatti, approvvigionarsi dai Paesi Arabi, ma lo si fa con il Canale di Suez rallentato. La tratta africana è stressata e anche se il rischio di carenza è minimo al momento è alto invece il problema dei ritardi sulle consegne. In più la storia dimostra che più stressi una filiera, più questa deve correre per soddisfare i mercati e più il rischio di incidenti aumenta. Se si incendiasse una raffineria nei Paesi Arabi? Ci sarebbe subito uno choc ulteriore. Meno diversifichi più sei soggetto all’imprevisto”, continua Torlizzi.
Come siamo arrivati a questo? “La situazione di carenza sui carburanti scoppiata adesso con gli attacchi dei droni ucraini evidenzia la carenza strutturale del settore della raffinazione, che è figlia delle politiche climatiche europee. Il tema della politica climatica contrasta con quello della sicurezza economica. È la nemesi delle politiche climatiche. Erano nate proprio per affrancarci dalla dipendenza di idrocarburi da altri paesi. In realtà fatta alla maniera europea ci ha portati ad essere in una situazione di ulteriore dipendenza nei confronti dei Paesi da cui dovevamo affrancarci. Perché è stata portata avanti in maniera ideologica, imponendo alle aziende produttrici di idrocarburi un rapido disimpegno senza avere gli strumenti pronti per un’alternativa”, conclude Torlizzi.