Sull'addio ad Autostrade Atlantia guarda solo al portafoglio
I miliardi è evidente che in questa vicenda contano più dei morti del Ponte Morandi e degli errori fatti sulla manutenzione
La parola fine alla lunga telenovela della vendita di Autostrade per l'Italia (Aspi) dovrebbe essere scritta in maggio, quando l'assemblea di Atlantia, la holding cui fa capo Aspi, sarà chiamata ad accettare l'offerta della cordata formata da Cdp Equity, Blackstone Infrastructure Partners e Macquarie Infrastructure and Real Assets, presentata il primo aprile.
Vedremo se gli azionisti di Atlantia sapranno ascoltare anche le ragioni del cuore e della decenza oltre che quelle del portafoglio. Se si ricorderanno cioè dei 43 morti provocati dal crollo del Ponte Morandi avvenuto quasi tre anni fa, il 14 agosto 2018; dei miliardi di dividendi incassati in questi anni da Atlantia grazie all'allegra gestione della rete autostradale a spese degli automobilisti (come ben documentato da Panorama del 14 marzo 2021); delle frasi che si sono scambiate i manager e gli azionisti del gruppo, intercettate dagli inquirenti, come questa di Gianni Mion, ex braccio destro della famiglia Benetton: "Il vero grande problema è che le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo e meno facevamo... così distribuivamo più utili... e Gilberto (Benetton, ndr) e tutta la famiglia erano contenti".
Dunque il traguardo di questa lunga vicenda è vicino. Ma anche i lettori più accorti si chiederanno come mai la trattativa si è trascinata per così tanto tempo.
Svanita la possibilità della revoca della concessione da parte dello Stato o addirittura del sequestro della società (troppi i rischi legali) alla fine ha vinto quella che tecnicamente è apparsa come l'unica soluzione possibile, ovvero quella dell'ingresso di una società a controllo pubblico a condizioni di mercato. Va però sottolineato che l'acquisto di Aspi da parte della cordata guidata da Cdp Equity non sarà a carico dei contribuenti italiani: i soldi provengono dal risparmio postale gestito da Cdp e l'obiettivo della Cassa è trasformare l'investimento in Aspi in un buon affare di lungo periodo.
Fino alla scorsa estate Atlantia ha tergiversato un po', con la speranza, non dichiarata, di vedere arrivare un governo senza il Movimento 5 Stelle e dunque meno ostile. Alla fine, il 14 luglio 2020 la holding ha scritto una lettera al governo in cui, tra le altre cose, offriva "la disponibilità a cedere direttamente l'intera partecipazione in Aspi, pari all'88%, a Cdp e a investitori istituzionali di suo gradimento". Da allora sono passati ben nove mesi. Come mai così tanto? L'impressione è che i manager di Atlantia abbiano cercato ancora di guadagnare tempo, riempiendo la "data room", cioè l'accesso ai potenziali acquirenti alle informazioni sulla società, lentamente e con il contagocce. Un atteggiamento che rivela il tentativo, ragionevole dal punto di vista dei venditori, di tutelare l'interesse di Atlantia, che però rischia di apparire alla pubblica opinione come l'ennesimo schiaffo dei Benetton e dei suoi manager agli italiani e alle vittime del Ponte Morandi.
In verità i Benetton non sono i principali responsabili di queste lungaggini. Atlantia è una holding quotata in Borsa di cui la famiglia veneta è il maggiore azionista con il 30%. Ci sono poi anche soci di peso come il fondo di Singapore, la banca Hsbc, il fondo Tci accreditato del 10% (anche se ha depositato solo l'1% all'ultima assemblea). Quest'ultimo è il più agguerrito. In una lettera inviata qualche mese fa alla Stampa, Chris Hohn, consigliere delegato del fondo Tci, scriveva: "Il governo italiano sta imponendo la partecipazione di Cdp nella vendita di Aspi. Questa dovrebbe essere considerata come una illegittima ri-nazionalizzazione di Autostrade. Atlantia, di fatto, è stata costretta a scegliere tra la vendita a Cdp o la revoca della concessione attraverso il meccanismo del Milleproroghe".
Ma gli stessi Benetton hanno riconosciuto che non c'erano alternative all'offerta della cordata di Cdp Equity. Infatti in marzo l'assemblea di Atlantia, grazie ai voti dei soci maggiori, ha rinunciato all'idea di una proposta di acquisto diversa da quella di Cdp dopo che i Benetton hanno ritenuto "più opportuno coltivare l'unica operazione espressa dal mercato". Così il primo aprile è stata formalizzata l'offerta finale di Cdp Equity e dei suoi alleati. Si parla di una valutazione di 9,1 miliardi per il 100% di Aspi, lontana dai 12 miliardi a cui puntavano i soci, soprattutto quelli di minoranza, di Atlantia. Come si legge nel comunicato della cordata di Cdp Equity, l'offerta contiene "alcuni affinamenti rispetto a quella trasmessa il 24 febbraio 2021, per l'acquisto della partecipazione, pari all'88,06%, detenuta da Atlantia in Autostrade per l'Italia, ovvero per l'acquisto fino al 100% della stessa in caso di esercizio del diritto di co-vendita da parte dei soci di minoranza di Aspi".
Gli affinamenti riguarderebbero i potenziali rimborsi Covid riconosciuti ai gestori delle autostrade e i possibili indennizzi per i danni indiretti relativi tragedia del Ponte Morandi. Ma la valutazione tiene conto della mutata situazione di mercato, con gli effetti della crisi pandemica sui conti di Aspi, e degli ingenti investimenti da effettuare sulla rete.
Nel comunicato si spiega che "l'investimento risponde, tra l'altro, ai seguenti obiettivi: promuovere l'ammodernamento della rete, favorendo la digitalizzazione e l'innovazione; dare stabilità alla governance di un'infrastruttura chiave per l'Italia in un'ottica di lungo periodo; contribuire alla realizzazione di un ingente piano di investimenti esteso all'intera rete autostradale di Aspi, con l'obiettivo di accelerare i programmi di manutenzione dell'infrastruttura, assicurando i più elevati standard di performance e sicurezza per gli utenti".
Il prossimo passo spetta ad Atlantia che dovrà convocare il consiglio di amministrazione (subito dopo Pasqua) per vagliare la proposta. E poi la parola definitiva passerebbe all'assemblea dei soci.