Autostrade, perché i pedaggi sono aumentati
Inflazione, costi per i lavori eseguiti e ricorsi dei concessionari contro lo Stato. Le ragioni del caro-tariffe che spenna gli automobilisti
La media nazionale è del 2,7% ma in alcuni tratti si va oltre addirittura al 50%. A tanto ammontano i rincari delle tariffe autostradali che gli automobilisti italiani dovranno digerire nel 2018 e che hanno fatto molto discutere nella prima settimana del nuovo anno.
La mappa dei rincari
A guidare la classifica dei salassi è il tratto di autostrada che da Aosta porta al Monte Bianco (la A5), dove i pedaggi sono cresciuti di ben il 52,69% rispetto al 2017. Seguono la Milano-Genova (+13,9% circa) e la Strada Dei Parchi che collega Roma con l'Abruzzo (+12,89%). Rincari consistenti anche sulla Milano-Torino (+8.34%) e al Sud, in particolare sulla Napoli-Salerno (+5.98%). Più contenuti invece gli aumenti su tutte le altre tratte dove però i pedaggi hanno comunque subito un rialzo con l'arrivo del 2018, fatta eccezione per poche arterie come l'Autocisa, dove le tariffe sono rimaste invariate.
Le ragioni del salasso
Ma perché è arrivata questa stangata per gli automobilisti italiani? Le ragioni che stanno alla base dei rincari sono più d'una. In alcuni casi ci sono stati dei piccoli adeguamenti delle tariffe all'inflazione, per fortuna limitati poiché il caro-prezzi viaggia da anni attorno allo zero.
In altri casi, l'aumento delle tariffe è stato concordato come compensazione di lavori eseguiti dai concessionari, cioè da chi gestisce le autostrade, ad esempio per la costruzione della terza e quarta corsia sulla Milano-Torino. Infine, ci sono situazioni particolari come quella della Aosta-Monte Bianco, dove la concessionaria Rav ha vinto un ricorso al Tar, per un mancato adeguamento dei pedaggi tra il 2014 e il 2017, in deroga a ciò che prevedeva invece una convenzione siglata dalla stessa Rav col governo negli anni precedenti.
Dieci anni di stangate
I rincari del 2018, però, sono soltanto l'ultimo anello di una lunga catena di aumenti tariffari ai danni deli automobilisti. Per rendersene conto, basta leggere i dati contenuti nel Rapporto Annuale 2017 dell'Art, l'Autorità di regolazione dei trasporti. In meno di un decennio, tra il 2008 e il 2016, i pedaggi autostradali pagati dagli italiani sono saliti da 5,8 miliardi di euro a oltre 7,4 miliardi annui, con un incremento complessivo attorno al 30%, quasi il triplo dell'inflazione registrata nello stesso periodo (11%).
Considerando che nel frattempo il traffico di camion e veicoli è diminuito a causa della crisi economica, si giunge inevitabilmente a una conclusione: da dieci anni a questa parte, i concessionari autostradali hanno fatto un mucchio di soldi a spese degli automobilisti italiani. Certo, grazie anche agli investimenti dei gestori è aumentata l'efficienza e la sicurezza di molte arterie viarie. E' calato per esempio il tasso di mortalità, calcolato in base al numero di morti ogni 100 milioni di veicoli per chilometro: dai 0,43 del 2008 si è passati a 0,29 nel 2015.
E' inoltre diminuito del 30% circa il numero totale degli incidenti ed è cresciuta l'estensione della rete dotata di pavimentazione drenante e fonoassorbente, che ormai copre oltre 8.500 chilometri di carreggiate.
Bilancio della privatizzazione
Resta da chiedersi, però, se questi progressi siano tutti merito dei gestori o, piuttosto, anche una conseguenza di altri fattori come il miglioramento delle prestazioni degli autoveicoli. Si tratta di elementi da valutare se si vuole fare un bilancio serio della privatizzazione della rete autostradale, avviata in Italia alla metà degli anni '90 del secolo scorso.
Da allora, le principali arterie del nostro paese sono state affidate progresivamente in concessione a 27 diversi gestori, tra cui dominano Autorade per l'Italia, che fa capo alla famiglia Benetton e che controlla circa i 50% della rete. Segue il Gruppo Sias (della famiglia Gavio) con una quota attorno al 20%. Si tratta società che macinano miliardi di euro di ricavi e che hanno realizzato anche alcune opere importanti come per esempio la Variante di Valico tra Bologna e Firenze o la terza corsia sulla Milano-Torino.
Tali infrastrutture hanno avuto un impatto ridotto sui conti dello Stato, essendo state finanziate in gran parte con gli aumenti delle tariffe concordati dai gestori col governo. A pagare, però, sono stati gli automobilisti e gli autotrasportatori con pedaggi sempre più salati. Sarà così anche nel 2018, dopo l'ennesima ondata di rincari dei pedaggi che ha fatto tanto discutere nella prima settimana del nuovo anno.