Mps, storia di una (o più) crisi
Dal crack provocato dalla disastrosa gestione Mussari alle difficoltà dei giorni nostri. Così la banca toscana è caduta diverse volte in disgrazia
Nei prossimi giorni, finalmente si avranno le idee più chiare sul destino del Monte dei Paschi di Siena (Mps), la banca più antica del mondo che da anni ha perso purtroppo il suo smalto. Ora, c'è alle porte un piano di salvataggio che dovrebbe risolvere gran parte dei problemi (o almeno si spera). Ma come si è arrivati a questo punto? Ecco, di seguito, una breve cronistoria della crisi di Mps che ha radici lontane.
Il crack di Mussari
Tutti i problemi del Monte dei Paschi di Siena iniziano nel gennaio del 2013 quando la banca finisce al centro di uno scandalo finanziario, legato alla precedente gestione di Giuseppe Mussari (già fuoriuscito dal management nel 2012). Si scopre che l'acquisizione della controllata Banca Antonveneta, pagata nel 2009 da Mps la bellezza di 9 miliardi euro, era stata finanziata con trucchi contabili e con l'utilizzo spregiudicato di strumenti finanziari derivati.
Profumo e Viola alla guida
Il difficile compito di risanare l'istituto spetta al nuovo management che è guidato da Alessandro Profumo (presidente poi dimessosi negli anni successivi) e Fabrizio Viola (amministratore delegato ancora in carica oggi). I due manager mettono in cantiere una serie di aumenti di capitale che cambiano completamente l'azionariato del Monte dei Paschi. La Fondazione Mps, che prima era il socio controllore con una quota di oltre il 50%, non sottoscrive le ricapitalizzazioni e diviene un azionista di minoranza con poco più del 2%. La banca diventa una “public company” con molti azionisti tra cui le società finanziarie Fintech e Bg Pactual o la compagnia assicurativa Axa. Tra i soci c'è pure lo Stato italiano, che ha trasformato in azioni Mps un prestito obbligazionario convertendo da oltre 4 miliardi di euro (i Monti Bond) concesso all'istituto toscano nel 2013 e non completamente rimborsato alla scadenza.
Il risanamento
In occasione di un aumento di capitale da 5 miliardi di euro, approvato con una maggioranza bulgara del 97% dall'assemblea e realizzato poi senza intoppi, le cose sembrano migliorare notevolmente per Mps.“Fino a due anni fa, nessuno avrebbe puntato su di noi i propri risparmi. Ora siamo tornati a essere una banca normale e risanata”, afferma nel 2014 il presidente Profumo, pensando che la sua missione sia ormai compiuta. Per l'istituto toscano, invece, in problemi non sono finiti.
La nuova crisi
Nel giugno del 2016 Mps piomba in una nuova crisi. I bilanci della banca presentano infatti ancora molte sofferenze, cioè crediti deteriorati che hanno buone probabilità di non essere rimborsati alla scadenza. Sono i cosiddetti non performing loan – npl, che purtroppo zavorrano i conti di molte banche italiane (e non solo di Mps), complice la crisi economica che ha messo in ginocchio parecchie aziende debitrici. La Banca Centrale Europea (Bce) ordina a Mps di fare pulizia nei bilanci e di vendere almeno 9,7 miliardi di euro di sofferenze, trasformandole in titoli finanziari da cedere sul mercato. L'ordine della Bce rischia però di aprire una uova voragine nei conti di Mps, perché le sofferenze da cedere sono iscritte a bilancio a un valore ben superiore (quasi il doppio) rispetto a quello a cui possono essere vendute sul mercato.
Il piano di salvataggio
Passo dopo passo, si arriva alle cronache dei giorni nostri. Per uscire da una nuova crisi crisi, ora il Monte dei Paschi si accinge a liberarsi di 9,7 miliardi di soffferenze con l'aiuto del fondo salva-banche Atlante 2 e a realizzare l'ennesimo aumento di capitale, per una un importo di 5 miliardi di euro. Quest'ultima operazione serve appunto a coprire le perdite derivanti dai buchi di bilancio che si aprono con la vendita delle sofferenze a prezzi inferiori rispetto a quelli riportate nei libri contabili della banca.