Banca Popolare di Vicenza: anche i consorzi agrari vittime del fallimento
Nel bilancio 2015 la svalutazione per circa 11 milioni di un investimento in azioni dell'istituto. Il Governo tenta il soccorso ma per ora non ci è riuscito
Ci mancava solo il fallimento della Banca Popolare di Vicenza nel museo degli orrori dei consorzi agrari italiani. Protagonisti di uno scandalo da migliaia di miliardi di vecchie lire sul finire della prima repubblica, questi soggetti a cavallo fra settore pubblico e privato sono usciti dalla bufera nel corso degli anni Novanta e 18 di loro fanno parte dal 2009 di una holding chiamata Consorzi agrari italiani (Cai), che ha preso il posto della vecchia Federconsorzi. Tuttavia sembrano essere rapidamente ricaduti nei vecchi vizi.
Risulta da un’analisi preliminare sui bilanci di 21 consorzi in bonis, ossia non più commissariati, che sta per essere pubblicata dalla Cia-Confederazione Italiana Agricoltori (la seconda associazione di categoria dopo la Coldiretti) che nel periodo 2011-2015 il sistema dei consorzi ha accusato una perdita complessiva di esercizio di ben 89 milioni di euro, derivante da un risultato operativo positivo e da una gestione finanziaria in passivo per oltre 146 milioni. In questo triste capitolo il posto d’onore va all’investimento sciagurato che cinque consorzi hanno effettuato nella Banca Popolare di Vicenza guidata in quegli anni dal “re del prosecco” Gianni Zonin.
LEGGI ANCHE: Crisi banche venete, tutto quello che c'è da sapere
La svalutazione
La svalutazione di quelle azioni è costata al sistema dei consorzi, secondo il bilancio del 2015, poco meno di 11 milioni (6 al Consorzio agrario del Nordest, 3,5 a quello dell’Emilia e il resto diviso fra la Sardegna, Pisa e Siena). Ed è solo un assaggio, perché in quell’anno i titoli della popolare valevano ancora 48 euro. Oggi che sono finiti a zero la perdita reale dovrebbe essere di gran lunga superiore.
I tentativi per ripianare il debito
È forse anche a causa di questo buco aggiuntivo che il governo ha tentato, con un emendamento presentato dal vice ministro dell’Economia Enrico Morando, di inserire nella manovra economica estiva un finanziamento da 40 milioni per ristrutturare i debiti dei consorzi con le banche. L’iniziativa ha causato, com’era prevedibile, viste anche le vicende del passato, una pioggia di proteste che hanno consigliato il ritiro dell’emendamento.
La strada del finanziamento diretto è dunque al momento sbarrata, ma non è l'unica a cui può ricorrere il governo. Un'alternativa è il decreto legge Mezzogiorno varato il 20 giugno, che consente ai consorzi (di tutta Italia) sia di partecipare a società di capitali, sia di godere delle agevolazioni derivanti da una assimilazione alle società cooperative.
Si vedrà se in fase di conversione del decreto questa norma, che ha già suscitato critiche, verrà soppressa o sarà conservata nel testo finale.
Nel frattempo resta da chiedersi per quale motivo si debba dare a tutti i costi dare una mano ai consorzi e soprattutto su quali basi un sistema che dovrebbe concentrarsi sulla fornitura di servizi agli agricoltori (a partire dall’ammasso del grano) si lanci invece in operazioni finanziarie che con la sua attività c'entrano ben poco, salvo poi bussare a quattrini alla porta dello Stato quando le cose vanno male.