Banche in crisi, come evitare i prodotti rischiosi
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Economia

Banche in crisi, come evitare i prodotti rischiosi

Cosa insegnano i crack di Banca Marche, Etruria, CariChieti e Carife. Occorre diversificare sempre il portafoglio e guardarsi dai conflitti d'interesse

Non sono bastati i bond spazzatura di Cirio, Parmalat o dell'Argentina. A distanza di tanti anni, in Italia si sta verificando l'ennesimo episodio di risparmio tradito, con migliaia di piccoli investitori che hanno perso buona parte dei loro soldi, seguendo i consigli delle 4 banche regionali finite nel crack: Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e Carife. Come è potuto accadere? In attesa di capire meglio come sono andate le cose, ecco di seguito alcune domande da porsi e alcune regole di buon senso da seguire, per evitare di prendere dei bidoni quando si va in banca per investire i propri risparmi.

Obbligo di diversificare

Una regola fondamentale da seguire per non esporsi troppo al rischio consiste nel diversificare bene il proprio portafoglio, investendo in più strumenti finanziari contemporaneamente, per esempio in azioni, obbligazioni, fondi o titoli di stato. I risparmiatori incappati nelle vicende di questi giorni hanno perso tutti i soldi a disposizione proprio perché non hanno diversificato il portafoglio e lo hanno destinato in gran parte a una sola categoria di prodotti finanziari, tra l'altro molto rischiosi come le obbligazioni subordinate.

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Cosa succede se la banca fallisce?

Ecco un interrogativo da porsi subito, quando si acquista un prodotto finanziario venduto negli sportelli di un istituto di credito. Il risparmiatore deve chiedersi quali sono le conseguenze di un crack della banca. Solo i conti correnti e i conti di deposito sono protetti da un apposito organismo di garanzia: il Fondo interbancario di tutela dei depositanti, che interviene però fino a una giacenza massima di 100mila euro. Nel caso dei fondi di investimento, invece, il capitale non è protetto dalle perdite ma il patrimonio del risparmiatore è comunque separato da quello della banca che vende i prodotti e della società che li gestisce. Se queste falliscono, il risparmiatore conserva la proprietà dei titoli inclusi nel portafoglio del fondo d'investimento. Sono invece totalmente prive di protezione le obbligazioni bancarie, anche se spesso vengono presentate come prodotti poco rischiosi, capaci di dare un rendimento predeterminato. E invece, se la banca finisce a gambe all'aria, i possessori dei bond non hanno diritto per legge ad alcun rimborso, ma possono soltanto insinuarsi al passivo del fallimento in qualità di creditori.

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Che interesse ha la banca a venderlo?

E' un altro interrogativo da porsi nel momento in cui si riceve una proposta di investimento allo sportello. La vendita di prodotti finanziari è infatti viziata spesso da conflitti d'interesse. Il cliente chiede una consulenza al proprio istituto di fiducia e riceve in realtà una proposta commerciale, dove spesso a guadagnarci è soprattutto la banca. Le obbligazioni subordinate, piazzate nel portafoglio dei piccoli risparmiatori dalle banche finite nei guai, sono probabilmente il frutto di questo meccanismo perverso. I quattro istituti avevano infatti un disperato bisogno di liquidità per salvarsi e hanno iniziato a vendere a man bassa dei bond rischiosi, anche se non erano adatti a un certo tipo di clientela.

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Quanto costa il prodotto acquistato?

Quando si acquista un prodotto d'investimento, è bene considerare non soltanto il livello di rischio a cui espone gli investitori ma anche quanto costa. Spesso, l'interesse delle banche a vendere un determinato strumento finanziario è motivato proprio dal fatto che si tratta di un prodotto su cui gravano pesanti commissioni, che deprimono poi i rendimenti e ingrassano invece i bilanci dello stesso istituto che li colloca. Questa considerazione vale anche per strumenti poco rischiosi come certi tipi di polizze assicurative a capitale garantito, che sono piene zeppe di voci di spesa.

Perché i rendimenti sono più alti della media?

Alto rendimento corrisponde ad alto rischio. E' una considerazione di buon senso che non va mai persa di vista quando si acquista un prodotto finanziario. Se ad esempio un'obbligazione promette dei guadagni molto superiori alla media di mercato, è probabile che ci sia qualcosa sotto. La banca o la società che ha emesso questo titolo potrebbe infatti avere una bassa affidabilità finanziaria e non riuscire a indebitarsi se non a tassi elevati, cioè offrendo sul mercato dei bond con interessi alti. Una considerazione analoga può essere fatta però anche per la rischiosità delle azioni, che possono regalare rendimenti da capogiro ma riempire pure di perdite il portafoglio. Mettere tutti i propri risparmi nelle azioni di una banca, come ha fatto qualcuno con i 4 istituti appena finiti nel crack, è dunque una follia.

Le carte da firmare

Attenzione anche alla lunga sfilza di carte che le banche chiedono di firmareai clienti. Si tratta di documenti complessi, che spiegano il funzionamento dei prodotti finanziari acquistati ma che quasi sempre nessuno legge. Non va dimenticato, poi, che le banche sono obbligate a sottoporre ai risparmiatori un questionario di profilatura, previsto dalla direttiva europea Mifid. Dopo aver sottoposto al cliente una serie di domande, gli istituti di credito tracciano così un suo profilo e identificano la sua disponibilità a prendere dei rischi e a subire delle perdite. Se un risparmiatore dichiara di conoscere poco la finanza e di avere una bassa propensione al rischio, la banca non può vendergli dei prodotti finanziari complessi o potenzialmente “dannosi”, come i derivati, le singole azioni ma anche le obbligazioni subordinate.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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