Bcc, la riforma in 5 punti
Approvato il decreto banche, ecco i cambiamenti all'orizzonte per il credito cooperativo
Dopo mesi di attesa, il giorno della svolta è arrivato. Ieri il consiglio dei ministri ha approvato il decreto che riforma le banche di credito cooperativo (Bcc), con l'obiettivo di cambiare gli assetti di un sistema che oggi raggruppa oltre 320 istituti in tutta Italia, molti dei quali hanno dimensioni molto piccole. Le misure messe in cantiere dall'esecutivo ricalcano in parte quelle proposte dallo stesso mondo delle Bcc, attraverso un progetto di autoriforma studiato da mesi. Ecco, di seguito cosa cambia:
La holding capogruppo
Il pilastro fondamentale della riforma del governo consiste nell'introduzione di un obbligo per le Bcc: entrare a far parte di un gruppo bancario cooperativo che abbia come capofila una società per azioni, con un patrimonio superiore a 1 miliardo di euro. Chi non rispetta questo vincolo e non aderisce a un nuovo gruppo più grande perde l'autorizzazione a esercitare l'attività in forma istituto di credito cooperativo, cioè perde lo status di bcc.
Tutte assieme in un solo gruppo
Con l'introduzione dell'obbligo esposto in precedenza, il governo vuole spingere le bcc ad aggregarsi e, in particolare, preme affiché si crei una holding unica nazionale che raggruppa quasi tutte le banche di credito cooperativo, con un patrimonio di quasi 20 miliardi di euro. Il capitale di questa nuova realtà sarà detenuto a maggioranza dalle stesse banche che ne fanno parte. Una quota di minoranza, invece, potrà essere venduta sul mercato dei capitali o acquistata da soggetti simili alle stesse bcc italiane (per esempio da gruppi bancari cooperativi europei o da fondazioni).
Il contratto di coesione
La holding che controlla le Bcc eserciterà poteri di controllo e coordinamento sulle attività delle singole banche, attraverso dei contratti di coesione. Si tratta di accordi che disciplinano appunto le funzioni della capogruppo su ogni singola banca, con poteri che potranno variare per ciascun istituto, a seconda del suo grado di rischiosità, misurato in base a parametri oggettivi. La holding potrà anche finanziare le singole Bcc, per le quali è previsto anche un innalzamento del numero minimo di soci e del limite massimo all'investimento in azioni, in modo da rafforzare il patrimonio di molti istituti oggi troppo deboli.
La via d'uscita
L'adesione alla nuova holding sarà in teoria su base volontaria. Non tutte le bcc saranno obbligate a farne parte ma, per rifiutarsi, dovranno rispettare comunque una condizione: avere delle riserve pari ad almeno 200 milioni di euro e versare, su quest'ultime, un'imposta straordinaria del 20 per cento. Oggi sono circa dieci le banche che possono rispettare tale requisito ma il governo confida che, alla fine, saranno pochissime quelle che non entreranno nella holding unica. In ogni caso, chi si rifiuterà di aderire alla holding e avrà riserve sopra i 200 milioni non potrà continuare ad operare come banca di credito cooperativo e dovrà trasformarsi in una società per azioni.
I tempi
Sulla carta, i tempi per l'attuazione della riforma delle bcc non saranno brevi. Una banca che vuole assumere il ruolo di capogruppo di altre bcc avrà infatti 18 mesi di tempo per trasmettere la relativa richiesta alla Banca d'Italia. Quest'ultima esaminerà i documenti e poi, una volta concesso il via liberà, darà altri 90 giorni di tempo alle banche per stipulare i contratti di coesione delle singole bcc. E' previsto un termine di 5 anni dall'entrata in vigore della legge per l'adeguamento al nuovo numero minimo di soci. Nonostante questa tabella di marcia lunga, il governo confida che già nel 2016, probabilmente dall'ultimo trimestre dell'anno, cominci il processo di aggregaizione delle bcc con la nascita della holding unica nazionale.